Il ben vestire dei sarti napoletani ha fatto scuola tanto da essere diventato un simbolo inequivocabile di eccellenza in tutto il mondo. “La sartoria napoletana non è consumo, è conoscenza”. È questa da sempre la convinzione di Patrizio Cacciapuoti, titolare dell’omonima sartoria in via Riviera di Chiaia a Napoli. Nella sua atelier Cacciapuoti realizza delle vere e proprie magie, abiti disegnati su misura e rifiniti in ogni dettaglio, anche il più piccolo.

Cacciapuoti non si definisce sarto ma un appassionato alla creazione di abiti da uomo. Frequenta le botteghe degli artigiani da quando aveva 16 anni. È guardando le loro mani che ha imparato le basi del suo mestiere a cui ha aggiunto la sua creatività e la maestria nel migliorare la tradizione con l’innovazione. E da oltre 35 anni vede i suoi clienti sorridere davanti allo specchio con soddisfazione.

“Per le mie creazioni mi avvalgo della conoscenza di tanti artigiani campani che realizzano per me gli abiti – racconta Cacciapuoti – Sono quasi sempre piccoli laboratori a conduzione familiare dove il sapere viene tramandato di padre in figlio. Si fa tutto a mano artigianalmente, è un’arte antica. Per realizzare un abito ci sono tante figure diverse: c’è il pantalonaio, il gilettaio, la persona che cuce il vestito e chi ricama le asole. Per fare un abito ci vogliono almeno 50 ore”.

Per Cacciapuoti la sartoria è singolarità: “Per ogni persona ci vuole il vestito adatto e solo con la sua conoscenza si può fare il lavoro al meglio – continua Cacciapuoti accarezzando i suoi abiti – Come dico sempre ai miei clienti: l’abito più bello sarà il prossimo perchè c’è bisogno di entrare in sintonia”.

La sartoria napoletana nasce agli inizi del secolo scorso quando l’abbigliamento aveva una influenza anglosassone. “Dei giovani artigiani napoletani decidono di andare in controtendenza – racconta Cacciapuoti – svuotano le spalle della giacca, togliendo le spalline e alleggerendo le tele interne, rendendole più confortevoli e disegnate sul fisico della persona che la indossa. Nasce così la cosiddetta ‘manica a mappina’ in quanto non perfettamente stirata”.

Cacciapuoti spiega che la giacca per essere confortevole viene cucita a mano su tutti i lati. “La riboccatura, così si chiama questa tecnica sartoriale, nasce come esigenza pratica per non far sformare la giacca ma poi diventa vezzo”. Altra peculiarità della sartoria napoletana sono le asole ricamate a mano dalle asolaie o bucaie.

“Il maestro don Ubaldo Furente mi raccontò che all’inizio del secolo scorso chi portava la giacca era o un nobile o un autista. Nel secondo caso bisognava che stesse comodo e che potesse scorciare le maniche all’occorrenza per pulire l’auto senza sporcarsi la camicia. Per questo motivo si cominciò a fare le asole molto larghe che poi hanno contraddistinto la sartoria napoletana. Una cosa che nasce per un motivo umile e poi diventa segno di eleganza”.

Per Cacciapuoti il complimento più bello è quando gli dicono che un suo abito è “vecchio”, cioè che dura negli anni. Per questo motivo all’interno di ogni sua creazione inserisce un’etichetta di seta su cui scrive la sua firma, il nome del proprietario dell’abito e la data della sua creazione. Un tempo le persone in vista lasciavano in eredità i loro guardaroba ai figli: erano capi pregiati che artigiani come Cacciapuoti poi risistemavano sul corpo del nuovo proprietario. “La cosa bella di un abito sartoriale è che ti dura una vita – dice – Un cappotto ad esempio ha un’anima, racconta storie, di un nonno, di un padre. Nella sartoria non si butta nulla”.

“La sartoria è qualcosa di lento che cresce e si evolve con le relazioni – spiega – Il rapporto con la persona a cui faccio l’abito è la cosa che mi piace di più. Bisogna conoscerlo bene per fare un lavoro al meglio. Questo lavoro è relazione e contaminazione. Per uno come me che non è andato a scuola imparare dagli altri è la cosa più importante perché è quello che ti fa crescere. Un paio di anni fa ho realizzato un abito per un ministro della Repubblica. Uno come me che parlava con un ministro, fu una bella sensazione. Capii che con un lavoro come il mio si può davvero parlare con chiunque, e questo è davvero bellissimo”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.