La resistenza non conferma la resa
I talebani esultano: “La guerra è finita, il Panjshir è nostro”
Inneggiano alla vittoria. Proclamano la fine della guerra. Sostengono che l’intero Afghanistan è ormai nelle loro mani. I Talebani hanno rivendicato ieri il pieno controllo della Valle del Panjshir, l’unica che ancora non era caduta alla loro rapida avanzata per la resistenza degli uomini guidati da Ahmad Massoud.
In mattinata il principale portavoce dei taliban, Zabihullah Mujahid, in conferenza stampa a Kabul, dopo l’annuncio della conquista del Panjshir aveva dichiarato: «La guerra è finita, ora lavoreremo per ricostruire l’Afghanistan. Costruiremo un sistema forte, responsabile e inclusivo». Poi ha avvertito: «Qualsiasi tentativo di insurrezione contro il dominio talebano sarà colpita duramente. L’Emirato islamico è molto attento e sensibile a questo tipo di ribellioni e non ne permetteremo un’altra. Chiunque ne inizi una sarà colpito duramente». «Con questa vittoria il nostro Paese è completamente libero» e «uscito dal pantano della guerra». «Alcuni degli insorti sono stati sconfitti mentre i rimanenti sono fuggiti dalla valle» ha sentenziato Mujahid, assicurando la gente del Panjshir che non ci saranno discriminazioni nei loro confronti: «Voi siete tutti nostri fratelli; serviremo insieme per un obiettivo e una nazione».
Le forze della Nrfa però non solo non confermano la resa, ma fanno sapere su Twitter di essere «presenti in tutte le posizioni strategiche della valle per continuare il combattimento». Nessun colloquio, prima dell’offensiva taliban, è mai andato a buon fine, con le due parti finite a rinfacciarsi a vicenda il fallimento dei negoziati. Il Panjshir sembrava d’altronde imprendibile: è rimasto inviolato durante tutti conflitti che hanno attraversato l’Afghanistan, dagli anni 70, e non da ultimo ai vent’anni di occupazione americana. Nell’ultimo mese è però venuto meno il segreto della resistenza della regione. Le rotte di rifornimento che portano al confine settentrionale sono state sbarrate dai Talebani. Quindi Ahmad Massoud – alla guida dei resti dell’esercito regolare afghano, unità delle forze speciali e combattenti della milizia locali – ha dovuto cedere alle pressioni dei gruppi religiosi e del Consiglio degli Ulema sunniti e tentare riprendere le trattative per raggiungere una pace duratura. «La Nrfa in linea di principio accetta di risolvere i problemi attuali e porre fine immediatamente ai combattimenti e continuare i negoziati», ha dichiarato su Facebook. La condizione però sarebbe un cessate il fuoco da entrambe le parti e di ogni attacco o movimento militare nel Panjshir e nell’Andarab, distretto nella vicina provincia di Baghlan. Per il momento dai Talebani non è giunta ancora risposta, anche perché nelle ultime ore i rapporti di forza nella regione si sono rapidamente rovesciati.
Massoud ha lanciato un appello per una “rivolta nazionale” contro i talebani, in un messaggio audio inviato ai media: «Ovunque tu sia, dentro o fuori, ti invito a iniziare una rivolta nazionale per la dignità, la libertà e la prosperità del nostro Paese». Nell’audio di 19 minuti diffuso via Facebook, Massoud contesta alla comunità internazionale di aver legittimato i Talebani dando loro fiducia politica e militare. Talebani che, prosegue, hanno attaccato le forze della resistenza del Panjshir ignorando le richieste dei religiosi. Sempre su Twitter, Massoud ha confermato la morte di Fahim Dashti, portavoce del Fronte della resistenza nazionale, rimasto ucciso nella notte nella Valle del Panjshir causa dell’avanzata dei Talebani: «Fahim Dashti era un amico e un fratello. Ha difeso la libertà di parola e i suoi ideali ed è morto come un eroe per la sua patria!». Sull’account di Twitter riconducibile alla resistenza è stata postata una sua foto in bianco e nero.
Tra le vittime dei Talebani ci sarebbe anche il generale Abdul Wudod Zara. «Con rammarico, la Resistenza nazionale dell’Afghanistan ha perso oggi due compagni nella resistenza contro l’oppressione e l’aggressione. Fahim Dashti, portavoce della Nrf, e il generale Abdul Wudod Zara sono stati martirizzati. Possa la loro memoria essere eterna», si legge su Samaa News che cita il Fronte di resistenza. Personalità di spicco dei media locali durante i precedenti governi e consigliere personale di Massoud, il generale Zara era anche lui legato alla storia della resistenza afghana: nipote dell’alto funzionario Abdullah Abdullah, poi deposto dai Talebani, è sopravvissuto all’attacco suicida che ha ucciso il padre di Massoud, Ahmad Shah Massoud, il mitico “Leone del Panjshir”, il 9 settembre 2001, pochi giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle.
Intanto, continua a destato allarme e orrore l’uccisione di una poliziotta nella provincia centrale di Ghor. La donna, che lavorava nella prigione locale ed era incinta di otto mesi, è stata freddata domenica scorsa in casa di fronte ai suoi parenti da uomini che, secondo un testimone, parlavano arabo e non pashtu. I familiari della vittima hanno puntato il dito contro i Talebani e fornito foto che mostrano schizzi di sangue sul muro in un angolo della stanza e un cadavere con il volto sfigurato, ma la ricostruzione della dinamica è complicata dalla paura che spinge al silenzio i parenti. E un nuovo decreto vieta le classi miste nelle università imponendo alle studentesse il niqab, il velo integrale. La macchina repressiva si è già messa in moto offuscando quel volto moderato che i nuovi padroni di Kabul stanno cercando di vendere al mondo. La caccia alle attiviste, alle giornaliste, alle imprenditrici e alle donne che in politica hanno più osteggiato gli Studenti coranici è già cominciata.
Ma la resistenza “rosa” non si arrende. E dopo le manifestazioni di sabato a Herat e a Kabul, represse con lacrimogeni, decine di donne sono scese in strada anche a Mazar-e-Sharif, capoluogo della provincia di Balkh, chiedendo di poter continuare a studiare e di avere un ruolo nel futuro governo. Come riportato dalla Bbc citando una delle manifestanti, pur trattandosi di una marcia pacifica i Talebani hanno minacciato sia le donne che i giornalisti presenti, intimando di disperdere il raduno.
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