No a ruoli di vertice per le donne, ma loro protestano
Il governo talebano al debutto, agli esteri in pole il figlio del Mullah Omar
A Kabul sta per insediarsi il governo dei “misogini”. Il nuovo governo dei talebani in Afghanistan «senza alcun dubbio, sarà un governo islamico. Qualunque sia la combinazione, che sia islamico è garantito». Ad annunciarlo è il portavoce Zabihullah Mujahid, in un’intervista alla Cgtn, canale in lingua inglese del network statale cinese Cctv. Mujahid ha aggiunto di sperare che le discussioni e le consultazioni sulla formazione dell’esecutivo portino a una buona conclusione.
I talebani si apprestano a nominare il leader religioso Haibatullah Akhundzada come suprema autorità dell’Afghanistan. Lo riporta il New York Times citando alcune fonti, secondo le quali Akhundzada avrà un titolo simile a quello dell’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran. Il Mullah Abdul Ghani Baradar, co-fondatore dei talebani, dovrebbe essere nominato alla guida delle operazioni giornaliere del governo. Il ministero della Difesa o quello degli Esteri dovrebbe essere assegnato al Mullah Mawlawi Mohammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar. E un posto è previsto anche per Sirajuddin Haqqani, esponente della nuova generazione di uno dei clan più militanti che ha legami antichi con l’intelligence pachistana. I talebani hanno individuato, quindi, diversi personaggi chiave, pensati con lo scopo di essere riconosciuti a livello internazionale, dimostrando di non volersi isolare ma di essere pronti e capaci di dialogare con le altre potenze.
Donne sì, donne no, donne forse. Che le donne possano entrare a fare parte nel nuovo governo dei talebani è improbabile ma non escluso, quello che è certo è che non avranno “ruoli apicali”. Lo dice, in un’intervista alla Bbc, il vice capo dell’ufficio politico dei talebani in Qatar sottolineando che le donne “potranno continuare a lavorare” e ad occupare “posti minori” nel governo. Ma «potrebbero non esserci dei ruoli di primo piano» per loro nell’esecutivo.
Ma c’è chi ha ancora il coraggio di ribellarsi. Una cinquantina di donne afghane sono scese in piazza a Herat (ovest) in una rara protesta per ottenere il diritto al lavoro e la partecipazione nel nuovo governo del Paese. «È nostro diritto avere istruzione, lavoro e sicurezza», hanno cantato all’unisono le manifestanti: «Non abbiamo paura, siamo unite». Una delle organizzatrici della protesta, Basira Taheri, ha chiesto che i talebani includano le donne nel nuovo esecutivo: «Vogliamo che i talebani tengano consultazioni con noi», ha sottolineato. «Non vediamo donne nelle loro riunioni», ha aggiunto.
In questo scenario tutt’altro che stabilizzato, proseguono i combattimenti. La provincia del Panjshir a nord di Kabul continua a essere contesa e area di guerra. Compresa in una lunga e stretta valle, la provincia è difesa da ex soldati e membri delle forze di sicurezza afghane, che negli ultimi mesi hanno trovato rifugio nella zona e si sono uniti agli abitanti che non accettano il regime talebano. Gli scontri sono proseguiti anche in questi giorni, mentre l’attenzione dei media era concentrata sulla situazione caotica all’aeroporto di Kabul con le operazioni di evacuazione di soldati e civili prima della partenza degli ultimi soldati occidentali. Nelle ultime ore Muhammad Jalal, tra i principali rappresentanti dei talebani, ha scritto sui social network che i combattimenti nel Panjshir si sono intensificati tra mercoledì e giovedì, con progressi nella conquista di alcuni avamposti da parte talebana. Jalal ha sostenuto che i combattenti talebani abbiano conquistato almeno una decina di postazioni dei ribelli, ma al momento non è stato possibile verificare da altre fonti le sue dichiarazioni.
Afghanistan, ovvero come il mio nemico, fino a ieri, può diventare mio alleato domani. «In guerra si deve fare quello che devi per ridurre il rischio, non necessariamente quello che vorresti fare». Il capo di Stato maggiore dell’Esercito Usa, generale Mark Milley apre le porte a un’eventuale operazione di coordinamento con i Talebani in Afghanistan per condurre operazioni antiterrorismo contro l’Isis -K e altre frange terroristiche. Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa con il segretario alla Difesa, Lloyd Austin. «Resta da vedere», ha precisato Milley, «se i talebani siano realmente cambiati». Sullo sfondo resta la tragedia umanitaria. «Con l’acuirsi della crisi la situazione in Afghanistan sta diventando insostenibile. Alle Nazioni Unite mi hanno dato cifre raggelanti: si stima che 120 bambini moriranno ogni giorno se non riavvieremo immediatamente gli aiuti alimentari». È l’allarme lanciato dalla capo Unità Asia, Pacifico, America centrale e meridionale della Protezione civile europea, Raffaella Iodice, alla commissione Affari esteri del Parlamento europeo.
Su questo fronte. L’Unione europea starebbe approntando un piano da un miliardo per i rifugiati afghani nei Paesi vicini. Il modello è l’accordo con la Turchia per i richiedenti asilo siriani. Ma, rivelano a Il Riformista fonti diplomatiche a Bruxelles, Iran e Pakistan sarebbero “riluttanti”. «È ora di guardare al futuro, basta con il passato»: lo afferma Joe Biden in un lungo post su Facebook in cui ribadisce come fosse giunto il momento di chiudere venti anni di guerra in Afghanistan. «È ora di guardare a un futuro più sicuro e che onori quelli che hanno servito il nostro Paese», aggiunge il presidente americano, su cui continuano a diluviare critiche, non solo dai Repubblicani ma anche dall’interno dell’establishment democratico e dai più autorevoli giornali statunitensi, per la gestione “maldestra” del ritiro. Il futuro è denso di ombre. Ombre inquietanti, minacciose. Quanto al passato, il bilancio di vent’anni di guerra, la Spoon River afghana, racconta che le vittime del conflitto, in tutto, sono state 172.403.
A pagare il prezzo più pesante sono stati i militari dell’esercito e gli esponenti delle forze di polizia, con 66mila decessi. Sono 51.191, invece, i morti fra i talebani e altri combattenti delle varie fazioni che si sono scontrate nello scenario afghano. C’è poi il capitolo delle vittime civili, quello più doloroso – sempre che sia possibile fare una classifica su questo tema – di ogni conflitto: in tutto gli afghani morti non inquadrati in alcun esercito, ufficiale o meno, sono stati 47.245. La spesa totale per gli Stati Uniti e le forze alleate nel conflitto afghano è stata di 2.313 miliardi di dollari. Quanto all’Italia, il costo finale della nostra presenza nel “cimitero degli imperi” è di 8,7 miliardi di euro, 840 milioni dei quali rappresentano contributi erogati direttamente alle forze armate afghane. Forze che si sono sciolte come neve al sole davanti ai Talebani. Se non è un fallimento questo…
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