I morti di Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, sembrano smentire le promesse dei talebani dopo la presa del potere: accesso all’aeroporto della capitale, fine dei disordini e delle violenze, rispetto dei diritti delle donne. Proprio ieri, infatti, i talebani hanno sparato contro la folla che protestava a Jalalabad, l’ultima delle città capitolate. Il bilancio è, nel momento in cui scriviamo, di 3 morti secondo alcune fonti e, addirittura, di 35 per SkyNews.

I manifestanti si sono radunati per innalzare la bandiera nazionale alla vigilia del Giorno dell’Indipendenza dell’Afghanistan, che ricorda la fine del dominio britannico nel 1919. Per farlo, hanno abbassato la bandiera bianca con iscrizione islamica che i talebani sventolano nelle aree conquistate. Alcuni video mostrano gli studenti coranici che sparano in aria e attaccano le persone con i manganelli per disperdere la folla. Fatti simili a Khost, capoluogo dell’omonima provincia, dove decine di persone sono scese in strada: anche qui, alla fine, i talebani hanno aperto il fuoco. A Kabul, i residenti del quartiere che ospita diverse ambasciate e i palazzi dell’élite afghana raccontano di pattuglie di combattenti talebani muniti di armi da fuoco che bussano a ogni porta alla ricerca di afghani che hanno lavorato con gli americani o con il governo deposto.

Nel timore di queste rappresaglie, migliaia di civili cercano di fuggire dal paese. L’accesso all’aeroporto di Kabul avviene però in modo caotico e senza chiari criteri di accesso. I talebani gestiscono posti di blocco allo scalo e controllano documenti di identità di cui spesso i fuggitivi sono privi. Proprio ieri, hanno sparato occasionalmente colpi di avvertimento per disperdere la folla che premeva ai cancelli e 17 persone sono rimaste ferite nella calca. Dalle province arrivano storie di rastrellamenti (le racconta la Cnn). Le vittime sono spesso le donne. Come Najia, madre di quattro figli, pestata a morte e poi finita a colpi di pistola dai combattenti talebani nella sua casa, poi distrutta da una granata, in un piccolo villaggio nella provincia di Faryab, a nord dell’Afghanistan. La vittoria degli estremisti islamici è stata così rapida che molte donne, a Kabul come nel resto del paese, si ritrovano sprovviste di burqa e devono adattare all’occorrenza sciarpe e lenzuola. Così, a Kabul, i prezzi del velo islamico sono decuplicati.

Molto presto all’inflazione di alcuni beni, si affiancherà pure la carenza di liquidità. Ieri Ajmal Ahmady, il capo della Banca centrale afghana, ha avvertito che l’offerta di dollari statunitensi del paese è “vicina allo zero”. L’Afghanistan avrebbe circa 9 miliardi di dollari di riserve, ma la maggior parte di questi è detenuta dalla Federal Reserve statunitense in forma di obbligazioni, attività e oro. Secondo Ahmady, durante l’offensiva talebana, il paese non ha ricevuto una spedizione di contanti già pianificata: “sembra che i nostri partner fossero già a conoscenza di ciò che stava per accadere”. La mancanza di dollari Usa provocherà un deprezzamento della valuta locale, l’afghano – che oggi vale appena 0,0099 euro – che danneggerà la popolazione più povera. I civili sono in fila ai bancomat da giorni nel tentativo disperato di salvare i propri risparmi. Mentre i talebani incontrano l’ex presidente Hamid Karzai per negoziare un governo “inclusivo”, la crisi economica è già entrata nell’agenda del paese.

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