Il governo si è incartato sull’affaire Almasri fin dal giorno dell’arresto dell’aguzzino libico. Invece di apporre immediatamente il segreto di Stato sulla sua liberazione, ha preferito sfruttare la solerzia del pg di Roma Lo Voi per alzare il tiro dello scontro con la magistratura. Una scelta che si è rivelata improvvida. Tant’è che il ministro Nordio e il ministro Piantedosi si sono presentati alle Camere, pronunciando peraltro due discorsi ugualmente impacciati nella forma come diversi nella sostanza, come i classici agnelli sacrificali dati in pasto all’opposizione.

Giorgia e le responsabilità

Ne esce altresì ammaccata l’immagine “decisionista” di Giorgia Meloni. Non solo e non tanto per la sua assenza nel dibattito parlamentare, quanto perché a chi ha messo in gioco il suo futuro politico con l’elezione diretta del premier certamente non giova mostrarsi così poco determinata nell’assumersi le proprie responsabilità. Platone paragonava la virtù politica alla destrezza del timoniere che conduce la nave in porto, conoscendo le correnti e scivolando sulle onde senza mai sfidare apertamente il mare. E proprio all’ombra dell’Acropoli nacque due millenni e mezzo fa la democrazia.

Nei suoi primi vagiti, il teatro ha avuto un ruolo centrale. Perché fare parte di un pubblico non era soltanto un aspetto della vita sociale della polis: era anche un gesto politico fondamentale. Infatti sedersi come spettatore, che valuta e giudica, significava partecipare come cittadino, come soggetto politico. È stata in particolare la tragedia a offrire lo strumento cardinale per questa trasformazione, a costituire la specifica forma estetica su cui poggiava la democrazia ateniese.

Il rischio che la democrazia italiana divenga il teatro di un’altra forma estetica, quella della commedia dell’arte di Arlecchino e Pulcinella (portentosa messa in scena del nostro atavico istrionismo), c’è e non va sottovalutato.