Il brutto risveglio
Il Coronavirus fa paura a Trump: “Restate a casa, prima di luglio non ne usciremo”
Certo, aggiunge Tony Fauci, l’immunologo statunitense che è nato a Brooklyn da famiglia italiana nel 1940 e che dirige il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, le cose stanno così: «Quando voi credete di essere qui, d’accordo? Voi pensate che la situazione sia quella dove vi trovate voi. Quella che vedete. Voi dite: ecco, siamo qui. E invece avete sbagliato: la situazione è già un metro più in là. Allora voi dovete prendere misure che sembrano esagerate, tutti vi diranno che state overreacting, vi prenderanno per matto e invece avete ragione: dovete overreact, è il momento di esagerare per prevenire». «Grazie Tony», dice Donald con tono calmissimo e aggiunge: «Sì ho fatto il test, mi avete costretto a fare questo test di cui non c’era bisogno perché non avevo alcun sintomo ma dicevano devi fare il test, assolutamente, perché non fai il test?
E allora sapete che cosa ho fatto? Ho fatto il test. Ecco, proprio così. Ho fatto il test e poi ci saranno volute, quante ore? Be’ dunque, vediamo, era venerdì, poi la mattina dopo tutto bene, il test era negativo. E seguitano a chiedermi di fare il test, ma l’ho fatto il test, vi assicuro che ho fatto il test al corona e sono negativo». Trump non teme la ripetitività, è convinto che repetita juvant e, quando vuole assumere l’immagine di Zeus pronto a scatenare tuoni e saette, fa un esercizio di respirazione lento e cresce di altri due o tre metri cubi e poi rilascia con lentezza l’energia accumulata, le sue parole emettono un suono da cornamusa sorda. Trump sa che l’enfasi è segno di debolezza.
Cita Roosevelt, non il fragile Franklin Delano in sedia a rotelle, ma il suo potentissimo zio repubblicano il presidente Theodor Roosevelt che sbarcò a cavallo a Cuba e il cui noto motto era e resta la quintessenza dell’americanismo al potere: tu parla piano, pianissimo, non dare alcun segno emotivo, ma fai vedere che la tua mano impugna un grosso bastone. O il calcio di un revolver. Le tue parole appariranno veramente autorevoli.
Trump non minaccia, ma ha il tono di chi vuole trasmettere questa immagine simbolica di un presidente talmente solido e sicuro del fatto suo che basta una sua parola, uno sbuffo, uno snort o un yea e ci siamo capiti: se vi dico che potete essere sicuri, è perché io ho il controllo totale della situazione, io ho visto questo virus che arriva dalla Cina e di cui non sapevamo niente, crescere e spaventare l’Europa e fare del male all’Italia e adesso in tutto il mondo ed è arrivato anche qui da noi, ma noi siamo americani, noi siamo uniti ma se occore ci teniamo anche a distanza – a proposito: congratulazioni! vedo che siete tutti a distanza di un metro almeno, questo è very nice, thank you – e dunque sarà fatto whatever it takes (frase che ovviamente non è stata inventata da Draghi) e noi abbiamo risorse per far fronte a tutto.
Respiratori? Centinaia di miglia. Ospedali? Quanti ne servono. Nessuno sarà solo, ve lo dico io. E da te in Italia, papà, mi chiede Lars, ci sono i respiratori? Be’, dico io, meglio non contarci troppo: qui è un po’ così così. I respiratori bisogna avere una certa fortuna per averli. Liam vorrebbe che io partissi a cavallo di una scopa o di una palla di cannone come il barone di Munchhausen per raggiungerlo e mettermi sotto le ali trumpiane. Non sono così convinto, gli spiego che è comunque meglio per me starmene tappato a casa con due mandate alla porta. «Pensi di sfangarla per l’estate del tuo compleanno fatidico?». Nessuno lo sa, rispondo e ci salutiamo. Ma mi mostrano su FaceTime le file di truck con rimorchio che trasferiscono milioni di tonnellate di roba ospedaliera come nemmeno per lo sbarco in Normandia, o almeno così sembra.
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