Tremendous è l’aggettivo di Trump. Lui sta sempre facendo un tremendous job, un lavoro pazzesco, tutto il suo staff è impegnato in uno sforzo tremendous e in questi giorni il presidente che si sente mancare la terra sotto i piedi per le elezioni di novembre proprio a causa del virus (un’economia sfasciata gli toglierebbe il tocco magico di re Mida che finora ha avuto) assume un tono soporifero, monotono, rassicurante, quasi ipnotico. Ma gli Stati Uniti sono attraversati da un’ondata di malessere, anche di terrore.

Io mi avvalgo di due miei inviati molto speciali per me, i miei figli Lars e Liam, sedici e quattordici anni che vivono in Florida e che ogni giorno mi aggiornano su umori e terrori. Liam non può giocare la partita e Lars voleva vedere la sua ragazza, ouch, il corona si è messo di mezzo, mi spiace ragazzi, qui dove sono io è anche peggio. Fino a pochi giorni fa, stando alla televisione, tutti pensavano che fosse soltanto l’Italia dopo la Cina a vedersela brutta e Trump nell’ultima conferenza stampa ha ripetuto, a titolo d’esempio e con affetto distaccato che Italy is having a hard time, l’Italia se la sta passando male, ma anche l’Europa se la sta passando male e tutto il mondo se la sta passando male e dunque persino noi ce la stiamo passando male: ma siamo americani, siamo pazzescamente organizzati in modo meraviglioso, come singoli Stati e come confederazione: «I governatori comprino quel che gli serve, non si impiglino nella burocrazia federale, tutti sanno come darsi da fare, non c’è bisogno di dirlo».

Lars commenta: «Trump è forte, ma la sua arma segreta è sulle strade: grandi convogli che portano ospedali e macchine dappertutto». Liam è molto preoccupato perché non potrà probabilmente giocare più una partita. Gli sport stanno andando in quarantena e negli Usa tutti sono e fanno e vestono lo sport.

Tutti sono una squadra, un team, una classe, un condominio, una associazione, un gruppo organizzato di qualcosa per qualcuno: il tessuto sociale americano è microscopico come un tessuto sintetico, la connessione della società è capillare e respira e parla tutta insieme. Ora la malattia è avvertita dall’enorme e ronzante popolo americano che tutti debbono essere distanti e non vicini, che la virtù americana di colpo consiste nel non essere più americani.

Ma quanto prevede che duri, mister President? «Questa è la mia domanda preferita che faccio a loro dieci volte al giorno, dice Donald indicando il suo staff impettito e dall’aria grave. Onestamente? Non prima di luglio. Forse agosto. Nessuno lo sa». Quanti respiratori abbiamo? «Stiamo facendo un tremendous job, ne avremo a sufficienza”. Sì, ma quanti esattamente? «Il numero non lo so, il numero ve lo dirò più tardi, non lo». Ma più o meno? «Tanti, molti, tantissimi, quanti ne servono, abbiamo tutta l’industria scatenata che lavora in una maniera veramente tremendous e anche il numero è tremendous, abbiate fiducia».

Anche lui come lo zazzeruto inglese, Boris Johnson, vuole affidare i vecchi ai giovani. Il messaggio è: volete ammazzare i nonni? No, vero? E allora statevene a casa. Voi giovani ve la caverete con poco, nulla di terribile, ma gli adulti anziani, per loro sarà una carneficina e il loro destino è nelle vostre mani. Il Presidente passa il microfono a una funzionaria del suo staff che si rivolge «alle meravigliose mamme dei Millennial, le mamme che hanno due e anche tre figli Millennial: voi siete il cuore dell’America. Voi sapete che cosa fare, più dei divieti, più dei provvedimenti che vanno presi e che noi prendiamo, e voi, voi meravigliose mamme Millennial avete i vostri iPhones, avete i contatti, voi organizzate le giornate della gioventù americana, voi potete sconfiggere il virus e la paura, voi sapete come farlo”.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.