Africa-coronavirus, una bomba pronta ad esplodere. Dopo un esordio lento, con il primo caso registrato in Egitto il 14 febbraio, l’Africa ha assistito a una diffusione costante del coronavirus e in poco più di una settimana sono stati infettati più di 20 nuovi Paesi, portando il totale a 30 nazioni colpite su 54 Stati africani, con 450 casi noti. E ora molti Paesi stanno adottando misure rigorose per bloccare l’epidemia. I paesi più colpiti si trovano in Nord Africa, dove sono stati confermati 10 decessi. L’Egitto ha registrato 166 casi e quattro morti, e l’Algeria 60 casi e quattro decessi. Sudan e Marocco hanno un morto ciascuno. Il Sudafrica conta 62 casi.

Nell’Africa orientale ci sono un totale di 20 casi in sei paesi. Il Senegal è il più colpito dell’Africa occidentale con 27 casi, la maggior parte dei quali è stata contagiata da un singolo cittadino rientrato dall’Italia. Ieri l’Oms ha ammonito sui rischi legati a un’eventuale diffusione dell’epidemia in Paesi con malnutrizione e presenza di molti casi di Hiv. «Temo sia una bomba ad orologeria», ha detto alla rivista Science Bruce Bassett, data scientist dell’Università di Città del Capo, impegnato ad analizzare i dati sul Covid-19 dallo scorso gennaio.

Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Ghebreyesus, ha confessato di temere l’esplosione dell’epidemia nei Paesi africani dove i sistemi sanitari non sono all’altezza. Sono stati stanziati 15 milioni di dollari per i Paesi più a rischio. Il direttore regionale dell’Oms per l’Africa, Matshidiso Moeti, ha evidenziato le lacune nella preparazione ad un’eventuale emergenza: «Dobbiamo dare urgentemente priorità al rafforzamento delle capacità dei Paesi di trattare i pazienti in strutture di isolamento e di migliorare l’infezione, la prevenzione e il controllo nelle strutture sanitarie e nelle comunità».

Il continente africano non è pronto a gestire i numeri europei e cinesi, nel caso in cui si verificassero. Uno studio pubblicato il 19 febbraio scorso sulla rivista scientifica Lancet mostra che i Paesi a più alto rischio sono Egitto, Algeria e Sudafrica, tra i più attrezzati, seguiti da Nigeria e EtiopiaMarocco, Sudan, Angola, Tanzania, Ghana e Kenya presenterebbero ad oggi un rischio di importazione moderato del virus dalla Cina. Nella regione africana, si legge ancora su Lancet, le risorse per allestire sale di quarantena per i casi sospetti negli aeroporti e negli ospedali, o per rintracciare i contatti dei casi confermati, potrebbero essere scarse.

Il 74% dei Paesi africani ha un piano di preparazione alla pandemia influenzale. Tuttavia, la maggior parte di questi piani è obsoleta e considerata inadeguata ad affrontare una pandemia globale. Secondo l’Onu, il continente africano ospita solo il 3% del personale medico mondiale, nonostante sopporti oltre il 24% del carico globale di malattie. La media italiana è di circa 376 medici ogni 100mila abitanti. E, nonostante la debolezza del sistema, l’accesso all’assistenza sanitaria è limitato dalla capacità di pagamento dell’individuo. Inoltre, le malattie infettive sono la causa del 40% dei decessi nei Paesi in via di sviluppo – l’1% in quelli industrializzati.

In una riunione dei ministri della salute dei paesi dell’Unione africana (Ua) ad Addis Abeba, lo scorso 22 febbraio, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva già invitato a una riorganizzazione nella lotta contro il coronavirus. «La nostra principale preoccupazione continua a essere il potenziale di diffusione nei paesi con sistemi sanitari più precari – ha affermato il capo dell’Oms – perché se il virus inizia a diffondersi nel continente, i sistemi sanitari richiederanno cure e attrezzature, come reparti di rianimazione o respiratori, che molti paesi africani non possiedono».

Alla stessa maniera è giunta la richiesta di “reciproco sostegno sanitario” e di maggiore “controllo e prevenzione” dal presidente dell’Ua, Moussa Faki Mahamat: «L’Africa è ancora più vulnerabile a causa dei suoi sistemi sanitari relativamente poveri». Il timore dell’Oms è che, nonostante la percentuale di letalità del coronavirus sia bassa, questa possa aumentare in maniera esponenziale viste le condizioni in cui vive più del 40% della popolazione africana, sotto la soglia di povertà e con un concreto rischio di contagio elevato.

Il continente vanta anche città e slum sovraffollati, dove risulterebbe difficile imporre il distanziamento sociale, e la convivenza di diverse generazioni sotto lo stesso tetto, per cui potrebbe non rivelarsi efficace la decisione di imporre la reclusione in casa, dove i più anziani sarebbero comunque esposti al pericolo di infezione. E ancora, ha sottolineato a Science Francine Ntoumi, parassitologa dell’Università Marien Ngouabi della Repubblica del Congo, come si può chiedere alle popolazioni dei villaggi di lavarsi le mani, quando non c’è acqua, o di usare i disinfettanti per le mani quando non ci sono abbastanza soldi neanche per comprare il cibo? «Temo sarà il caos», ha commentato.

A rendere ancor più esplosiva la situazione, è la penetrazione cinese nel continente africano. La Cina è il principale partner commerciale dell’Africa e circa 10mila aziende cinesi stanno attualmente operando in tutto il continente, secondo la rivista Forbes. L’Oms ha già identificato 13 Paesi maggiormente a rischio, in base ai collegamenti diretti con la Cina: Algeria, Angola, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Sudafrica, Tanzania, Uganda e Zambia. La “bomba a orologeria” rischia di esplodere. Allarme rosso nel Continente “nero”.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.