Equilibri precari
Il doppio binario di Meloni, asse con Usa e Germania per frenare la preparazione alla guerra di Francia e Gran Bretagna
La premier vuole fare da pontiere senza perdere peso né autonomia. Bilanciare le pressioni degli Stati Uniti e la compattezza europea

L’Europa – ammesso che questa parola abbia ancora un senso e non sia una mera espressione geografica – non ci sta a essere tagliata fuori dalla trattativa tra Stati Uniti e Russia. O, per meglio dire, gli Stati militarmente rilevanti non hanno intenzione di restare seduti nell’anticamera in attesa di un accordo: vietato imporre decisioni a Kiev che, al di là della forza di volontà, senza l’aiuto occidentale non potrebbe difendersi dall’attuale o dalle future aggressioni. Perché se la storia ci ha insegnato qualcosa, è evidente che la fame passa solo mangiando. E nessuna tregua sarà mai tanto sicura.
In queste settimane la tensione è salita soprattutto tra Roma e Mosca, dopo la reazione del Cremlino alle parole del presidente Mattarella, irrigidendo la posizione italiana che fino a ora – nel pur indubbio sostegno a Kiev – si era opposta all’invio di truppe europee sul suolo ucraino. Ma ora tutto potrebbe cambiare, soprattutto per l’accelerazione voluta da Francia e Gran Bretagna, che non intendono far passare il possibile accordo di pace come una vittoria della Russia. E questo obbliga Meloni ad assumere una posizione più esplicita.
L’atteggiamento dell’amministrazione americana non facilita il compito di “pontiere” della premier, che ha criticato l’assenza di Stati interessati dalla minaccia russa (paesi baltici, Svezia e Finlandia) a fronte del metro militare utilizzato da Macron per organizzare il vertice. Elemento che fa intuire come Francia e Gran Bretagna pongano l’accento sulla necessità di uno spostamento oltre l’asticella di rischio. Berlino frena, ma al momento è senza nocchiero, mentre Meloni deve cercare di frenare l’entusiasmo di una reazione che – più che europea – sembra ricalcare vecchi equilibri e storiche rivalità. Elemento che tutti dimenticano quando si parla di esercito comune. Qui l’obiettivo enunciato è quello di prepararsi alla guerra, di organizzare le proprie economie per le esigenze future e capire se la Nato manterrà la struttura che abbiamo conosciuto fin qui.
In questo momento l’Italia è l’alleato più stretto degli Stati Uniti, ma la scelta di Meloni di essere presente al vertice poggia sul realismo e sulla necessità di costruire in Europa un “vallo” contro la minaccia russa. Perché la maturità europea passa dalla consapevolezza di dover provvedere autonomamente alla propria difesa. Importante in tal senso è stata la vittoria che il nostro paese ha ottenuto dalla Commissione europea: la revisione delle regole di Bilancio e del Patto di stabilità, con un’apertura allo scorporo necessario alle nazioni europee per aumentare la spesa militare e raggiungere lo 5%, che potrebbe essere solo l’antipasto di ciò che ci attenderà.
Il movimentismo europeo è un segnale agli Stati Uniti, affinché intendano che l’Europa non resterà a guardare, ma soprattutto alla Russia. Inoltre c’è il rapporto con Kiev, che la Ue ha rinsaldato e annodato al proprio destino dal principio del conflitto. Si tratta di elementi che ballano ritmicamente sul tavolo del vertice di Parigi. L’Italia si trova in una posizione non agevole, e anche in questo caso – come sui dazi – Meloni sarà chiamata a calmierare l’euforia francese e a riportare al realismo il dualismo tra le due sponde della Manica. L’asse con la Germania può essere un freno perlomeno temporaneo, onde evitare che saltino le polveri. Ma pure Washington deve fare un passo per aiutare il lavoro di Roma, perché anche l’impero americano ha bisogno dei suoi alleati.
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