Da Volodymyr Zelensky a JD Vance, Ursula von der Leyen, Kaja Kallas, Annalena Baerbock, i leader mondiali si sono dati appuntamento venerdì in Baviera per la 61esima edizione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Per l’Italia ci sono il vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto.

Il summit di tre giorni si è aperto a ventiquattr’ore da quanto accaduto vicino alla stazione centrale della Capitale della Baviera, dove un’auto si è schiantata sulla folla lasciando decine di persone ferite. A fare da padrone, però, saranno gli sforzi diplomatici tra Russia e Ucraina per portare a colloqui di pace i due paesi dopo tre anni di guerra. Toni molto duri e un attacco diretto alle «democrazie europee» da parte di Vance, che ha preannunciato in modo formale e perentorio il disimpegno militare Usa dall’Europa. Lo storico Paolo Macry, docente emerito della Federico II di Napoli, traccia una linea tra il prima e dopo Trump, il prima e dopo Vance.

A Monaco la storia è passata più volte, nel 1938 l’appeasement fu vano, fu illusorio.
«Appeasement vuol dire placare, in inglese. Implica concessioni. Che vi furono, e furono troppo generose, forse ingenue. La scusante, se vogliamo, è che la guerra era terminata da venti anni, era cioè ancora ben presente nelle menti dei partecipanti. Andava scongiurata a ogni costo. Mentre oggi gli europei non se la ricordano, da vicino. L’Europa era convinta della sua forza, c’erano gli imperi, l’esercito francese era fortissimo. Oggi non abbiamo la stessa forza, e tantomeno quella percezione di noi».

Dunque non siamo davanti a una nuova Monaco, oggi. Ma a un quadro diverso…
«Che a me fa pensare alla Yalta del 1945. Dove già l’Europa arrivò schiacciata da Roosevelt e Stalin, che diedero inizio da quella conferenza a una nuova logica di spartizione del mondo. Oggi, dopo che la caduta dell’Urss ha decretato ormai decenni fa la fine di Yalta, siamo a una nuova definizione dei grandi equilibri mondiali».

Scusi, professore, ma Yalta era un vertice tra vincitori. Oggi si parla di una conferenza tra Russia e Ucraina, due sconfitti, che insieme hanno perso ben oltre il milione di vite umane in due anni, con gli Stati Uniti di Biden che non esistono più, travolti dal plebiscito di Trump, e l’Europa stordita e ammutolita… Non ci sono potenze che si confrontano, ma paesi diversamente sconfitti.
«Sconfitti di grado diverso, politicamente. Se è vero che ci sono attori sconfitti o comunque nelle pesti, come può essere Zelensky oggi, resta il fatto che c’è una iniziativa da parte di due superpotenze sulla pelle dell’Europa. Se a Monaco nel 1938 l’Europa calò le braghe davanti alla pretesa di Hitler sulla regione dei Sudeti in Cecoslovacchia, perché venivano dall’esperienza delle trincee, e se a Yalta c’era una Europa sconfitta, questa di cui parliamo oggi è una conferenza di pace nella quale l’Europa non avrebbe nessun motivo per rimanere muta e attonita».

Colpevolmente muta, diciamo?
«L’Europa ha avuto ottant’anni di pace, sostenuta sotto l’ombrello degli Stati Uniti e della Nato. Non ci dimentichiamo che nel 1953 Alcide De Gasperi proponeva l’esercito europeo. Gli risero in faccia, soprattutto la Francia. Abbiamo avuto ottant’anni per valutare i pericoli e per darci da fare. I sovietici erano più vicini e pericolosi di quanto non lo siano oggi i russi. Eppure abbiamo dormito sugli allori per intere generazioni. Temo che sia arrivata l’ora del risveglio, e sarà brusco».

Giusto ricordare De Gasperi. Però l’inazione europea risente fortemente dell’inazione italiana, che è ormai propria del carattere nazionale degli italiani. Irenisti, illusoriamente neutralisti, rinunciatari. Siamo quelli del «Noli me tangere». Le guerre non ci riguardano mai. Questo ci dicono settant’anni di quieto vivere all’ombra delle mobilitazioni Nato: abbiamo lasciato sempre fare il lavoro sporco agli americani.

«Le responsabilità del neutralismo farlocco sono di Uk, Francia e Germania. L’Europa si è messa in una nicchia del neutralismo di facciata, dicendo agli americani che accettava di buon grado di essere difesa dai loro Marines, dalle loro basi, dalle loro portaerei, e così risparmiando sul budget della difesa, che da noi è l’1%, in modo di mettere risorse dove ci è stato più comodo, sulla spesa pubblica, sulle pensioni, sul welfare. Lo avremmo potuto fare se avessimo dovuto provvedere da soli alla nostra Difesa? Chiaramente no. E dato che sembrano tornare tempi in cui questo sarà il problema, va detto: per settant’anni abbiamo affidato il compito ad altri, in cambio certo di rimanere nella loro sfera di influenza commerciale oltre che politico-culturale. Un assetto dal quale qualcuno, furbescamente, ha provato a stare con i piedi in due staffe, come ha fatto Berlino…»

Vedo che mette l’accento sulla Germania, perché?
«La Germania ha avuto i sovietici in casa, le hanno spezzato in due la Capitale. E loro cosa hanno fatto? Da un lato hanno dato il benvenuto agli americani, accettando tredici basi sul loro territorio. Dall’altro hanno fatto accordi – accresciuti negli ultimi vent’anni – con la Russia per la fornitura del gas a buon prezzo. Così hanno goduto di risorse americane e russe, facendo affari con entrambi ma contribuendo a permeare l’Europa di questo carattere neutralistico, improntato al disarmo anche culturale. Ed ecco che lo schiaffo di Vance oggi a Monaco parla soprattutto ai tedeschi, alla loro storia di ambiguità degli ultimi settant’anni».

Come adolescenti viziati, noi europei abbiamo fatto troppo affidamento sui nostri genitori? Abbiamo bisogno di protezione, di sicurezza, di tecnologia? Noi facciamo il minimo, tanto ci sono loro a pensarci…
«Dice bene, viziati. Perché abbiamo tratto grandi vantaggi materiali da tutta quella logica. Abbiamo fatto i furbi. Con tanta retorica sull’Europa, ma noi siamo diventati, con buona pace dei grandi padri, un continente materialista. Che ha curato i suoi affari, in primis. E perfino dal punto di vista culturale abbiamo finto di non vedere che il mondo correva, Asia in testa. Oggi ci si risveglia, ci si accorge che c’è una Cina fortissima e che, attenti tutti, se ne va l’America. Ma perché, non sapevamo che avrebbero potuto andarsene? Pensavamo rimanessero per sempre a farci da guardia?»

L’Europa è stata dormiente, dal punto di vista geopolitico. Fino all’invasione russa dell’Ucraina.
«Sì, non ci eravamo accorti neanche che nel 2014 era stata invasa e annessa alla Russia la Crimea. Da quel momento, undici anni fa, è iniziata la guerra tra Ucraina e Russia. Solo che noi non ce ne eravamo accorti».

E non ci siamo accorti neanche di quanto sia cresciuta la Cina. Militarmente, è nel mondo. Si esercita in Siberia, naviga con i suoi sottomarini tra America ed Europa, sta conquistando l’Africa sempre di più…
«La Cina che si era sempre mossa come un gigante lento, sta diventando molto veloce. Adesso conosce un nuovo protagonismo. Sembra che voglia entrare anche nel gioco della ricostruzione in Ucraina, che voglia essere attore della pace. E poi ci sono le rotte artiche, i porti cinesi in Africa, lo sfruttamento delle terre rare. Certamente sugli affari europei, dopo aver lanciato la campagna della Via della Seta, la Cina ha messo non più solo gli occhi ma le mani. Anche qui, l’Europa dov’era mentre la Cina riorganizzava la sua forza nel mondo?»

Eravamo come quegli adolescenti distratti dal telefonino, con sempre maggiori deficit attenzionali?
«Lei dice adolescenti. Dal punto di vista dell’irresponsabilità, ha ragione. Ma qui non siamo davanti a un soggetto debole, vulnerabile, perché giovanissimo e dunque sprovveduto. L’Europa ha tutta la potenzialità per mettere in campo una straordinaria capacità reattiva. Abbiamo tecnologia, know-how, capacità di analisi, tutto quel che serve per sfidare il mondo. O meglio, per rispondere alle sfide. Non ci sono più gli americani? Facciamo da soli la nostra Difesa, si può e si deve fare. Deve tornare ad essere normale quello che per troppi decenni non lo è stato».

Non basta dire che Trump è imprevedibile, che fa il pazzo…
«L’Europa deve capire cosa fare da grande, ed è oggi il giorno. Non possiamo scandalizzarci del disimpegno di cui ha parlato Vance ieri. Anche Obama aveva già anticipato il disimpegno degli americani dai teatri geopolitici diventati meno interessanti. Può piacere o non piacere, ma bisogna farci i conti». 

Rispetto ai tempi della storia, gli europei dimostrano spesso di saper reagire, messi alle strette.
«Non sono sicuro, ogni cosa deve essere fatta secondo i tempi giusti. Sa come sono certe malattie: se prese per tempo si risolvono e si guarisce, se ci si muove troppo tardi, al di là della buona volontà e delle dichiarazioni di speranza, c’è poco da fare. Adesso per l’Europa le cose si fanno complicate. Va recuperato un gap storico che va avanti dal 1945 a oggi, sono 80 anni. Siamo abituati a dire di no alle armi perché c’erano gli Usa, no al nucleare perché c’era il gas russo… Adesso bisogna diventare autonomi dal punto di vista energetico e militare, e bisogna farlo subito».

Cosa si rischia?
«L’Europa stessa. Se vincerà la paura, la disgregazione, l’Europa tornerà disunita: alle singole nazioni. E divisi, isolati, siamo tutti più deboli».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.