La telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin ha messo in chiaro almeno due elementi. Il primo è che il destino dell’Ucraina passa esclusivamente dai canali diretti tra quei due leader. Il secondo è che l’Europa è esclusa da qualsiasi tavolo. E se il Vecchio Continente è in balia degli eventi, il dialogo tra Putin e Trump può coinvolgere altri mediatori.

L’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo, che in questi anni hanno lavorato per fare da pontieri tra le parti in guerra, potrebbero essere le più indicate per un summit tra Putin e Trump, o addirittura per il vertice di pace. Questi Stati hanno ottimi rapporti con Kiev, Mosca e Washington. E lo “zar” può andare a trattare solo dove il mandato di arresto della Corte penale internazionale non ha alcun peso. Ma a farsi avanti in questo complicato intreccio di rapporti personali, diplomazia e interessi economici c’è anche una potenza che in questi mesi è apparsa molto silenziosa rispetto alle iniziative immaginate nei primi mesi o nel primo anno di guerra in Ucraina: la Cina.

Secondo il Wall Street Journal, nelle ultime settimane si è registrato un certo attivismo cinese per quanto riguarda i rapporti tra Mosca e Washington. Xi Jinping avrebbe mosso i suoi funzionari per prendere contatti con l’amministrazione Trump e promuovere un vertice tra Putin e il tycoon. Dall’America, ma anche dall’Europa, l’idea è stata definita “assolutamente non fattibile”. Troppe le divergenze tra Usa e Cina, specialmente ora che Trump ha sparato il suo primo colpo nella guerra commerciale imponendo dazi al gigante asiatico. E per il blocco atlantico, l’asse tra Xi e Putin, definito in quel concetto di “amicizia senza limiti”, appare troppo solido per rendere la Repubblica popolare un vero ponte tra Mosca, Washington e Kiev. Ma se Pechino ha evitato di confermare o smentire le indiscrezioni del Wall Street Journal, quello che appare interessante è anche l’acredine con cui il megafono internazionale del Partito comunista cinese, il Global Times, ha accolto la strategia trumpiana sull’Ucraina. Una strategia definita “ipocrita” soprattutto per quanto riguarda gli aiuti, con un attacco rivolto principalmente allo scambio proposto da Trump a Volodymyr Zelensky, cioè quello tra “terre rare” e forniture militari.

Questo, per Pechino, è un tema essenziale. Perché sia Trump che Putin sanno perfettamente che in questi anni Xi ha costruito una trama di interessi che rappresenta un monopolio assoluto di queste risorse. L’Ucraina, come ha ammesso lo stesso tycoon, è ricca di elementi preziosi, anche se non tutti possono essere inseriti nell’ambito delle vere e proprie “terre rare”. Secondo gli esperti dell’Unione europea, in Ucraina sono presenti 22 minerali critici sui 34 identificati da Bruxelles. Per Reuters, che cita l’Institute of Geology, l’Ucraina possiede lantanio, cerio, neodimio, erbio, ittrio e scandio. Secondo il World Economic Forum, Kiev ha anche riserve di litio, berillio, manganese, gallio, zirconio, grafite, apatite, fluorite e nichel. Tuttavia, molte di queste risorse sono nei territori del Donbass occupati da Mosca. E una conferma è arrivata anche dal capo della Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, secondo cui esistono giacimenti “molto promettenti” nella regione che però non possono essere sfruttati per via della guerra. Questo risorse, Trump le ha valutate 500 miliardi di dollari. Zelensky ha aperto al loro sfruttamento attraverso partnership con aziende estere. Ed è chiaro che la Cina, superpotenza delle terre rare e legata a doppio filo alla Russia, guarda con interesse alle risorse ucraine e dei territori occupati da Mosca.

Un dossier fondamentale, ma non unico. Perché Xi sa che in Ucraina si gioca una partita che per Pechino ha anche conseguenze diplomatiche di ampio respiro. Qualcuno suggerisce che la Cina possa avanzare una sua candidatura per un’eventuale missione di pace sotto bandiera Onu: operazione che farebbe da sfondo ai progetti di ricostruzione immaginati con i russi. Ma a questa strategia “distensiva”, si aggiunge anche il timore di Xi di assistere a un riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti proprio quando i rapporti con il Cremlino sono granitici.

Nei giorni precedenti alla telefonata tra il tycoon e lo zar, Putin aveva invitato Xi alla parata del 9 maggio a Mosca, cui era seguito l’invito rivolto al presidente russo a partecipare alle celebrazioni a Pechino per l’80esimo anniversario della vittoria sul Giappone. E se il leader cinese non vuole che ci siano allontanamenti con Mosca, allo stesso tempo può sfruttare il suo legame con il Cremlino per spingere Putin a trattare, sperando così di convincere Trump a evitare una guerra commerciale. Anche il tycoon è apparso desideroso di dialogare, evitando i dazi al 60% promessi in campagna elettorale. Ma le parole del capo del Pentagono, Pete Hegseth, sulla priorità da dare alla deterrenza della Cina nel Pacifico sono state un segnale chiaro: l’obiettivo di Washington rimane sempre l’Impero di Mezzo.