Trumpeide
Il "matto imprevedibile" e le "sfere di influenza"
Trump e Putin non hanno una lingua comune quando parlano di confini, ma quando si tratta di fare i cattivi…

Confessiamolo: siamo tutti incatenati all’agenda mediatica di Donald Trump che lo impone sulle prime pagine e aperture di tutti i media. Annuncia eventi incredibili, ma non dice nulla sulla guerra. Come quando, prima ancora di entrare nell’Ufficio Ovale, disse: “Avrò risolto la guerra la questione ucraina”, cosa che i giornalisti non perdono occasione di ricordargli ogni conferenza stampa.
Sono passate più di due settimane dall’insediamento e i riflettori sono sempre su di lui per l’enormità o la sorpresa delle sue dichiarazioni. Quello è il genere di scoop a cui ci sta abituando. Non si sa nulla sullo stato delle possibili trattive, che certamente sono già in fase avanzata. In compreso ha trasformato Gaza in una Singapore che non esiste, vuole il Canada, vieta ai transgender di competere con le atlete donne e spara tariffe e dazi. Sulla guerra, vaghi cenni.
Le dichiarazioni e decisioni presidenziali sono accuratamente lette e valutate sia dalla diplomazia russa che cinese, con occhi russi e cinesi. Da quando Trump è alla Casa Bianca le attenzioni dei media per quel che accade in Ucraina diminuiscono e fanno intendere che la Russia, in fondo, vinca. Si è diffusa una certa anestesia sui fatti bellici curata dal diffuso partito filorusso, anche se la vittoria che Putin spera di vedersi riconoscere da Trump non è il numero di chilometri di terra ucraina, ma il “Nuovo ordine mondiale” fondato sul primato dell’Oriente russo e cinese, e non più euroamericano.
Putin non desidera possedere l’Ucraina, vorrebbe invece che diventi una provincia obbediente come la Bielorussia di Lukashenko. Le trattive devono comunque partire dalla guerra in corso. Stando agli analisti e agli istituti di osservazione sulla guerra, la dottrina del Cremlino punta a due obiettivi: far cessare l’esistenza del primato occidentale e svelare il bluff dell’articolo 5 (che prevede la possibilità che se un membro dell’Alleanza è attaccato, tutti si dichiarano in stato di guerra), una tigre di carta che non convince più la totalità degli alleati, e certamente non ha un fan nel presidente Trump.
Al Cremlino il casus belli è già pronto, e ne demmo notizia più di un mese fa: la Danimarca – che controlla insieme agli altri Paesi del Mare del Nord dell’Europa la flotta delle “petroliere fantasma” affittate dai russi per esportare il greggio in barba alle sanzioni – ha preso molto sul serio queste violazioni, e tutti i Paesi Nato del mare del Nord sono in allarme perché da due settimane le “Shadow fleet” sono scortate da sommergibili e navi da guerra russe della Flotta del Nord e da quella del Baltico.
Da gennaio sono molti ad avere il dito sul grilletto in quell’area oceanica e gli osservatori inglesi, estoni e tedeschi, riferiscono di una corrente di pensiero al Cremlino secondo cui varrebbe la pena provocare un incidente armato minore, ma inequivocabile, e costringere la Nato intera a decidere il da farsi. Tutto questo Trump lo sa perfettamente con aggiornamenti dettagliati, e proprio per questo motivo è stato valutato da tutti i Think-Tank (anche americani) con molta apprensione lo stato di crisi aperto contro la Danimarca per la rivendicazione (del tutto bizzarra e ipotetica) della Groenlandia. Trump di fatto ha reso la Danimarca, che possiede la Groenlandia, un anello particolarmente debole dell’alleanza.
Per fortuna l’ipotesi di un test di sfida armato da parte di Mosca è per ora soltanto parte del “big game” che la Russia sta giocando per vendere illegalmente petrolio, con cui sostiene le spese di guerra, e dimostrare che l’Occidente bluffa: l’Europa è un gruppo di Stati inermi e vocianti disprezzati dal nuovo Presidente americano, e gli Stati Uniti non hanno alcuna voglia di guerra. Trump ama farsi riprendere a microfono acceso mentre borbotta opinioni poco lusinghiere sul governo russo: “Il rublo crolla, l’inflazione galoppa, non hanno risorse, sono messi davvero malissimo, hanno fatto un gravissimo errore con questa guerra e io glielo avevo detto”.
In questa situazione Putin ha lanciato per primo il ponte tanto atteso: “Stiamo lavorando per realizzare l’incontro”. Ed è a questo punto che si rischia l’equivoco. Sia il ministro degli Esteri russo Lavrov, che il portavoce del Cremlino Peskov, insistono sull’obiettivo reale di un incontro al massimo livello. Non il cessate il fuoco, ma il riconoscimento della fine delle regole occidentali nella politica internazionale e il diritto russo, ma per estensione anche cinese e iraniano, di dettare la politica estera nelle cosiddette “sfere di influenza”.
Donald Trump finora si è comportato in maniera molto offensiva per i russi: ha nominato un generale veterano delle guerre d’Iraq e Afghanistan, Keith Kellogg, a preparare le trattative per un accordo sull’Ucraina, ma senza alcun riferimento alla parte di Ucraina che resterà comunque indipendente dalla Russia e che ha già manifestato l’intenzione di entrare nell’Unione Europea. Donald Trump e Vladimir Putin hanno o non hanno una lingua comune per una trattativa che non riguarda solo confini, ma un assetto internazionale con regole ostili all’Occidente? Il presidente prende tempo perfezionando la parte da lui teorizzata del “madman”, il matto imprevedibile.
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