Ci sono sette detenute madri in Campania, vuol dire che sono in cella con figli al seguito. In totale nove bambini. Hanno meno di tre anni d’età e vivono in carcere con le loro mamme. Sono divisi tra il carcere di Lauro e quello di Salerno, i due istituti di pena che in Campania sono attrezzati per ospitare anche bambini così piccoli. I loro nomi e le loro storie diventano un numero sul bilancio con cui periodicamente il Ministero della Giustizia fa il punto sulla situazione penitenziaria, detenute madri comprese. L’ultimo report è aggiornato al 31 maggio e, paragonando i numeri degli ultimi mesi, ci si accorge che durante i mesi di lockdown soltanto una detenuta con i due suoi bambini ha ottenuto la possibilità di lasciare il carcere. Per gli altri la reclusione continua. Nell’annuale rapporto sulle condizioni di detenzione elaborato dall’associazione Antigone emerge il paradosso: a fonte di numeri così ridotti (sono 55 le detenute madri in tutta Italia, otto quelle in Campania) «risulta davvero difficile pensare che non si riescano a trovare luoghi alternativi al carcere», si legge nel rapporto.

E così ci sono bambini che trascorrono i primi anni della loro vita in una cella, come piccoli reclusi, lontani da affetti e contesti familiari, da soli assieme alle loro mamme. «È necessario e improrogabile che ai bambini venga assicurato il diritto all’infanzia», sottolinea Francesco Ceraudo, esperto di medicina penitenziaria e autore del libro “Il medico degli ultimi”. Il tema è estremamente delicato e tutt’altro che irrilevante se si considera che si parla di bambini in tenerissima età, eppure se ne parla pochissimo. I bambini in carcere si trovano in istituti a custodia attenuata o in asili nido allestiti presso la struttura penitenziaria. In ogni caso, spiega Ceraudo, «un bambino in carcere è un fatto intollerabile per l’opinione pubblica in quanto il carcere è un’istituzione punitiva. Resta facilmente intuibile che il carcere appare come l’ambiente più insano dal punto di vista dell’igiene mentale e dello sviluppo fisico per un bambino».

Secondo alcuni studi, la condizione di reclusione condiziona il linguaggio e la capacità di movimento dei bambini che si trovano a vivere in cella assieme alle loro mamme. “Apri”, “fuori”, “aria” sono tra le prime parole che i piccoli imparano a pronunciare in carcere. Le quattro mura della cella finiscono per diventare il loro mondo, un mondo dove lo spazio è limitato, e non solo quello fisico. Dove non c’è posto per le piccole scoperte che aiutano i bambini a esplorare il mondo nei primi anni di vita, non ci sono tutti gli affetti familiari, non ci sono passeggiate, non ci sono lunghe corse all’aria aperta. «In carcere – spiega Ceraudo – il bambino subisce inerarrabili costrizioni poiché vive e cresce secondo i tempi e i ritmi, i suoni e gli odori della prigione. L’ambiente è innaturale, confinato da una serie successiva di muri, sbarre, porte e cancelli».

Ci sono studi e recenti ricerche sociologiche che dimostrano come il rischio di devianza sia più alto per quei bambini che hanno vissuto l’esperienza del carcere nei primissimi anni di vita a seguito dell’arresto o della condanna della mamma. La possibilità di tenere in cella le detenute madri con i loro piccoli risale a una legge del 1975, varata con lo scopo di evitare o comunque ritardare il distacco del piccolo dalla mamma ma rischia adesso di avere effetti devastanti «e purtroppo permanenti», aggiunge il professor Ceraudo, già presidente dell’associazione nazionale medici penitenziari.

«Maternità e reclusione sono due condizioni in conflitto tra loro e la seconda comunque sembra negare la possibilità alla prima di esprimersi se non in situazioni di estremo disagio». Un rimedio possibile c’è? Secondo Ceraudo, migliorare l’ambiente, colorare le celle, riempire gli asili delle carceri di giocattoli sono interventi possibili «ma il vero obiettivo da perseguire non è il miglioramento dell’ambiente nel quale il bambino vive ma neutralizzare sin dall’inizio l’operazione carceraria che costringe il bambino a vivere in un carcere vero e proprio».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).