Ha un tumore e per i medici dell’ospedale Cardarelli potrebbe morire da un momento all’altro. Il quadro clinico di Giovanni Calenzo, imprenditore 59enne che sta scontando l’ergastolo a Santa Maria Capua Vetere dopo essere stato condannato in primo grado e in appello, è a dir poco grave. O, meglio, lo è per i vertici del penitenziario, che hanno ripetutamente segnalato la sua incompatibilità col regime carcerario, e per il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, che ora invocato il suo trasferimento in una struttura sanitaria. Non lo è, evidentemente, per i giudici della Corte d’assise d’appello di Napoli che sul caso continuano a non decidere.

Andiamo con ordine. Assistito dal penalista Ernesto De Angelis, Calenzo si è visto diagnosticare un carcinoma uroteliale con metastasi ai polmoni. Il 18 maggio scorso la direzione sanitaria del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere ha chiesto alla Corte d’assise d’appello di adottare, nei confronti del 59enne, un provvedimento alternativo alla detenzione «per manifesta incompatibilità col regime carcerario». Difficile essere più chiari: per i vertici della casa circondariale Francesco Uccella le condizioni di salute dell’ergastolano sono così compromesse da renderne impossibile la permanenza dietro le sbarre.

Per i giudici, però, evidentemente non è bastato. Nelle settimane successive al 18 maggio, infatti, la Corte d’assise d’appello non ha riconosciuto l’incompatibilità di Calenzo col regime carcerario. E le condizioni del 59enne non sono certo migliorate. E a certificarlo sono stati i medici del Cardarelli di Napoli presso il quale Calenzo si è sottoposto alla chemioterapia. Allarmanti le parole messe nero su bianco dal personale del nosocomio partenopeo il 16 luglio scorso: «La prognosi del paziente è infausta e l’exitus può accadere in qualsiasi momento per comparsa di complicanze non prevedibili». Anche in questo caso, dunque, i medici sono stati piuttosto chiari: Calenzo rischia di morire da un momento all’altro. E anche stavolta i giudici della quarta sezione della Corte d’assise d’appello non hanno adottato alcun provvedimento. Nemmeno davanti alla nota con cui, il 19 luglio scorso, i vertici del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere hanno sollecitato per l’ennesima volta l’adozione di un provvedimento che consentisse a Calenzo di abbandonare la propria cella e di fare ingresso in una struttura sanitaria idonea e attrezzata.

Già, perché i familiari del 59enne non possono assicurargli cure adeguate a casa. Bisogna trovare una clinica presso la quale la Corte d’assise d’appello, d’ufficio o su istanza dell’avvocato difensore, possa disporre il trasferimento di Calenzo. Della vicenda si sta interessando Samuele Ciambriello: «Il diritto alla salute è incompatibile con la permanenza in carcere, eppure sono rarissimi i casi in cui la magistratura riconosce questa dicotomia e agisce di conseguenza – sottolinea il garante regionale dei detenuti – Giovanni Calenzo versa in condizioni fisiche alquanto precarie. Vogliamo infliggergli la tortura della permanenza in carcere? Vogliamo che muoia dietro le sbarre? Costituzione alla mano, la pena non può configurarsi come vendetta. La magistratura dovrebbe ricordarsene e fare in modo che Calenzo venga accolto in una struttura sanitaria adeguata».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.