Si usa dire che una notizia smentita è una notizia data due volte. Ed è proprio questo il caso della nota con cui l’ex magistrato e oggi senatore Roberto Scarpinato, Movimento Cinque Stelle, comunica alla stampa il suo disappunto per l’inchiesta de Il Riformista sulla vicenda Vaccarino-Matteo Messina Denaro. Il disappunto è comprensibile. Con quanto si prende la briga di precisare alle agenzie di stampa, Scarpinato fornisce infatti due notizie in più. La prima è che conferma la ricostruzione che abbiamo fatto; la seconda è che specifica i termini e le motivazioni per le quali decise di porre effettivamente fine all’attività di infiltrazione operata dal Sisde sul latitante più ricercato d’Italia.

“Il Riformista prosegue la campagna diffamatoria nei miei confronti, attraverso articoli basati su gravi falsificazioni. Due loro pezzi fondati su presunte informazioni fornite da anonimi esponenti dei servizi segreti, sostengono che io e Giuseppe Pignatone nel 2006 avremmo fatto fallire un’operazione che avrebbe portato alla cattura di Matteo Messina Denaro. La nostra responsabilità sarebbe quella di aver reso nota senza validi motivi l’identità di un infiltrato del Sisde, Antonio Vaccarino, che era riuscito a entrare in contatto epistolare con il latitante Messina Denaro. Per conoscere i reali termini della vicenda e comprendere la falsificazione fatta dal Riformista, è sufficiente leggere gli atti ufficiali del tribunale e della procura di Palermo”. Letti gli atti, rimane inalterata la nostra ricostruzione. Tra questi c’è infatti anche l’interrogatorio reso dal colonnello De Donno presso il Tribunale di Marsala, all’udienza del 12 maggio 2020 che vide imputato l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, poco prima di morire di Covid.

Su domanda dell’avvocato Baldassare Lauria – che insieme all’avvocato Giovanna Angelo difese Vaccarino – in merito al fatto se l’aver bloccato l’operazione Vaccarino-Svetonio avesse impedito la cattura di Matteo Messina Denaro, il colonnello rispose che verosimilmente quella fuga di notizie potrebbe aver mandato in fumo la cattura del latitante, precisando che Vaccarino era totalmente affidabile: “Al 100%”. Ma De Donno non si limitò a dare testimonianza soltanto delle attività e della collaborazione di Vaccarino in merito alle indagini su Provenzano e Matteo Messina Denaro, indicando nella fruttuosa collaborazione dell’ex sindaco elementi che portarono a individuare i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro e di altri soggetti interni all’organizzazione mafiosa, precisando che Matteo Messina Denaro stava iniziando ad aprirsi con Vaccarino segnalando Rosario Cascio – successivamente arrestato – quale imprenditore a cui fare riferimento. Ma sottolineò che tutto questo lasciava ben sperare in merito alla possibile cattura del latitante, tanto più che solo qualche giorno prima dell’arresto di Provenzano, Vaccarino aveva incontrato il nipote del boss. Circostanza che lasciava sperare in un successivo incontro che avrebbe portato all’arresto di entrambi i latitanti.

Ma seguiamo la ricostruzione di Scarpinato:L’11 aprile del 2006 venne arrestato Bernardo Provenzano, nel suo casolare furono sequestrati numerosi ‘pizzini’ scambiati tra il boss ed alcuni tra i maggiori esponenti di Cosa nostra. Poiché l’identità dei destinatari dei messaggi e dei tramiti era nascosta dietro codici numerici e nomi di copertura, iniziammo una lunga e complessa ricerca delle reali identità. Messina Denaro risultò essere l’autore di alcuni messaggi, firmati ‘suo nipote Alessio’ in cui, informando Provenzano, faceva riferimento ad un soggetto, indicato come ‘VAC’ o ‘VC’, che stava gestendo lucrosi affari per conto di Cosa Nostra. La Polizia Giudiziaria scoprì che si trattava di Antonio Vaccarino: pregiudicato per reati di mafia, già assessore e sindaco di Castelvetrano, membro della massoneria di Castelvetrano, aderente al Grande Oriente d’Italia. Vaccarino venne ovviamente iscritto nel registro degli indagati, sottoposto a intercettazioni e interrogato. Dalle intercettazioni emersero contatti con utenze del Sisde.  Facendo i dovuti accertamenti, scoprimmo che Vaccarino aveva intrapreso su istruzioni dello stesso Sisde una corrispondenza epistolare con Messina Denaro e che questi, dopo la scoperta del covo di Provenzano e il rinvenimento dei messaggi da lui inviati con il nome ‘Alessio’, aveva deciso di interrompere ogni comunicazione con Vaccarino. A quel punto, io e i colleghi Pignatone e Lari chiedemmo per lui l’archiviazione. La ricostruzione fondata su documenti ufficiali dimostra dunque che la responsabilità del disvelamento del ruolo svolto da Vaccarino va attribuita esclusivamente al Sisde, che non informò la Procura di Palermo dell’operazione in corso, persino dopo che era stato scoperto il covo di Provenzano ed era in pieno svolgimento l’indagine per identificare i soggetti menzionati nei pizzini sequestrati. Con quella omissione – conclude Scarpinato – i Servizi lasciarono che, come era inevitabile, Vaccarino finisse sotto indagine giudiziaria ed emergesse l’attenzione della magistratura nei suoi confronti”. Sulle incomprensioni, i disguidi e gli errori di comunicazione tra catene di comando diverse è stato scritto molto.

I Ros avvisarono per tempo la massima autorità giudiziaria competente, va detto in tutta onestà: la Procura nazionale antimafia allora diretta da Pietro Grasso era non solo al corrente dell’indagine sotto copertura Sisde, ma del tutto consonante e allineata. Lo stesso Grasso, che poi è diventato Presidente del Senato e per un breve periodo Presidente supplente della Repubblica, in seguito alle dimissioni di Giorgio Napolitano e fino al giuramento di Sergio Mattarella, ingaggiò con Scarpinato una vivace polemica su chi avesse dovuto avvisare chi, e come, e perché. La Procura di Palermo dirigendo le indagini sulla massoneria non approfondì mai la questione del medico Alfonso Tumbarello. Su questo Gian Joseph Morici, direttore del quotidiano agrigentino La Valle dei Templi, da noi più volte consultato per il suo articolo Matteo Messina Denaro poteva essere catturato già da tempo precisa il suo pensiero: “Della figura di Tumbarello, ho detto che è centrale in questa vicenda per il fatto che Vaccarino, pur conoscendo Salvatore Messina Denaro, si rivolge a lui per un contatto”. Questo rende chiara l’idea di come Vaccarino veda nel medico la persona della quale si fida il fratello del latitante.

Da qui, la figura del “garante” per l’incontro che poi, secondo quanto riportato da Report, si terrà presso lo studio di Tumbarello. La frase (del nostro articolo di ieri n.d.r.) in cui dico di aver dedotto che Tumbarello è un soggetto di spessore mafioso importante è errata. Così come non è corretta quella secondo cui Vaccarino gli sottopone tutti i messaggi, chiedendo di instradarli verso il più ricercato dei latitanti per canali riservatissimi a cui Tumbarello aveva accesso. Vaccarino non gli sottopone i messaggi, ovvero il contenuto dei “pizzini”. Se Vaccarino conosceva Salvatore Messina Denaro (fratello di Matteo ndr), suo ex alunno, viene da chiedersi perché dunque si rivolge a Tumbarello. “Perché, evidentemente – per Morici – ritiene che Tumbarello goda della stima e della fiducia del Messina Denaro, e di conseguenza che la sua figura faciliti l’incontro, poiché il suo intervento di ‘mediazione’ rappresenta una garanzia per il fratello di Matteo Messina Denaro”.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.