Una vittoria è una vittoria, anche se è del tutto evidente che qualcuno mastica amaro. Un po’ per invidia, un po’ perché tagliato fuori dal circo mediatico che, in occasione di altri arresti, tanto bene hanno portato alle carriere di toghe e giornalisti da loro privilegiati. Diciamolo con franchezza, scorrevano in tv mezzi sorrisi e smorfie di mal celato dolore al pensiero che proprio il Ros dei Carabinieri, il tanto vituperato Raggruppamento speciale nato sulle fondamenta dei nuclei costituiti dal generale Dalla Chiesa, avesse portato a termine il più difficile e immane dei compiti investigativi.

Perché sia chiaro la cattura di Messina Denaro è stata, a quel che si comprende, molto ma molto più difficile della cattura di altri latitanti eccellenti, persino dello stesso Salvatore Riina additato a un manipolo di coraggiosi, dall’interno di un furgone camuffato, dal pentito Balduccio Di Maggio. Ieri dozzine di militari e uomini dei reparti speciali (che certo stazionavano a Palermo da tempo e che avranno studiato la clinica palmo a palmo prima di intervenire) hanno garantito che il boss non potesse fuggire in mezzo alle centinaia di persone che popolavano “La Maddalena” alle prime ore del mattino. Una trappola perfetta, un congegno micidiale che doveva mettere le mani su un uomo abituato a fuggire e a sottrarsi a tutte le nuove tecnologie e a tutte le più avanzate tecniche d’indagine troppe volte strombazzate sui media da investigatori votati all’esibizionismo. Deve essere stato difficile, rispetto alla sfrontatezza urbana del capo dei capi o alla serafica solitudine contadina di Bernardo Provenzano.

Ma non mancano sibili velenosi e spifferi acri che già affiorano qua e là; le teorie complottiste che hanno accusato il colpo devono ora riposizionarsi. L’accusa per qualche decennio agli uomini del Ros è stata quella di aver negoziato latitanze e concesso favori, a partire dalla mancata perquisizione del covo di Riina, ora si punta il dito sull’ultimo rifugio di Messina Denaro lasciando immaginare che il latitante si portasse dietro le salmerie e le vettovaglie di presunti dossier e misteriose carte di cui, invero, nessuno ha mai parlato in modo affidabile e serio. Se esiste un caveau di Cosa nostra questo non è certo a casa di Messina Denaro che non sarà stato così sciocco, con centinaia di carabinieri e poliziotti alle calcagna da anni, da lasciare documenti scottanti nella scrivania di casa. Ma intanto si gettano le basi per il prossimo complotto e per le prossime illazioni; si analizzerà al microscopio il minimo indizio che possa dar materia per altri libri, per gli ennesimi articoli e per le solite stantie trasmissioni televisive popolate di pentiti bolliti da mille versioni perché si immiserisca il grande risultano e lo si incaselli nel nodo scorsoio dell’ennesima collusione tra lo Stato e la mafia.

Non è solo l’inclinazione e la pulsione complottista che avvelena alcune menti, ma è anche la lucida consapevolezza che ora tutto uno strumentario, tutto un insieme di leggi speciali, tutto un coacervo di carriere è messo in discussione dalla fine di un’epoca. Perché tutto si è giustificato – probabilmente a ragione – per le stragi del 1992 e del 1993; chiusa la stagione delle bombe lo Stato avvertirà inevitabilmente la necessità di assumere una postura legislativa, processuale, carceraria diversa da quella degli ultimi 30 anni. Un tempo enorme se si pensa. Per tre decenni si sono tollerati e compresi regimi carcerari duri, intercettazioni a tappeto, interdittive antimafia a strascico, misure di prevenzione fondate su labili congetture e supposizioni.

Già la Corte costituzionale, con le pronunce in materia di benefici penitenziari ed ergastolo ostativo, aveva fatto comprendere che era necessario imprimere un assetto diverso alle norme emergenziali e che non erano più sufficienti presunzioni e formule stereotipate per derogare ai principi basilari della Costituzione penale. Ora, con la recente legge 199 del 2022, il compito passa alla magistratura di sorveglianza che è necessariamente esposte alle conseguenze di quanto accaduto a Palermo poche ore fa. Perché, occorre dirlo con chiarezza, le norme in materia di mafia, il doppio binario processuale, lo stato d’emergenza carcerario in tanto trovano legittimazione in quanto il nemico da battere fosse “cosa nostra” stragista, si fosse al cospetto dei cadaveri di uomini innocenti, delle vittime travolte dall’odio dei boss.

Ma se quella fase storica si chiude in un modo così eclatante, con Messina Denaro in mano ai reparti speciali dei Carabinieri come “El Chapo” tenuto per la collottola dagli incursori della Marina colombiana, le cose cambiano e drasticamente. Ieri l’Arma dei Carabinieri ha impartito una lezione di sobrietà e compostezza comunicativa. Niente manette ai polsi del boss passato innanzi alle telecamere con le mani libere come prescrive le legge (e non per qualche inconfessabile attenzione), due militari della Territoriale a lato che lo conducevano al furgone che lo portava via dalla caserma, pochi uomini in mimetica per l’ultima scorta senza strattonarlo, né esibirlo. Una forza tranquilla, senza spavalderie ed esibizioni muscolari. Il successo era tanto evidente che non era necessario enfatizzarlo a uso e consumo dei media, come successo in altre clamorose occasioni, quando le telecamere ronzavano in covi e rifugi a poche ore dalla cattura.

È un segnale di svolta, e non solo comunicativa, che il paese deve comprendere perché proviene da una delle sue istituzioni più autorevoli. Una tragica epoca si chiude, finalmente, e non si tratta di una tregua come qualcuno vorrebbe far intendere. Ora si potrà por mano al dossier decisivo che, in tutti questi anni, una certa antimafia non sempre in buona fede ha messo sotto lo zerbino. È stato impellente l’interesse a confondere i corleonesi con la mafia e ad accanirsi in ricostruzioni e teoremi che hanno drenato energie e risorse enormi portando a esiti totalmente insufficienti. Dove sia cosa nostra siciliana, oggi, nessuno lo sa con la necessaria precisione. Quali interessi economici abbia, quali collegamenti abbia conservato con la politica, quali settori controlli della vita sociale di quella regione (e non solo) è frutto per lo più di congetture, ipotesi, iperboli, ma praticamente si sta intorno all’anno zero. Non c’è da recriminare troppo, c’era un lavoro da completare ed è stato portato a termine. Ora servono menti lucide, intelligenze investigative moderne, analisi penetranti per scovare il malaffare mafioso e scrostare la sua patina che ha anche parecchie mani di vernice di antimafia.