Alla fine lo ha tradito la malattia più che i “pizzini”. Si conclude così la latitanza trentennale dell’ultimo esponente della mafia stragista, Matteo Messina Denaro arrestat dal Ros dei Carabinieri a Palermo dove si trovava per un controllo medico. La conferenza stampa dell’Arma rivela altri particolari, pochi, sui quali a lungo però si discuterà. Il boss di Castelvetrano era “operativo all’interno di Cosa nostra” ma non certo il Padrino a capo della Commissione, un capace uomo d’affari con mille legami. Insomma oltre l’arresto, con le indagini che continuano sui sodali, poco quasi nulla che già non si sapesse. Massimo riserbo ripetono i vertici della Procura di Palermo e gli investigatori del Ros.

L’arresto di Matteo Messina Denaro avvenuto oggi a Palermo è un cerchio che si chiude, una macchina del tempo che riporta ad un mondo che non c’è più – quello della fine della Prima Repubblica, delle bombe e delle stragi – e che dice poco a chi ha meno di 40 anni, e nello stesso tempo apre una storia nuova, ancora tutta da scrivere quella di una mafia sommersa non più blocco di potere, del Potere grande. La cronaca dell’arresto è ancora scarna: il set della cattura è un quartiere storico della mafia, San Lorenzo, dove un tempo insistevano le ville nobiliari più sfarzose (tra cui quella dove Visconti girò la scena del ballo del Gattopardo) e oggi sfregiato dalla speculazione edilizia, primo grande affare che cementò il binomio mafia-politica.

E sfregiato dalla latitanza ma soprattutto dalla malattia – stava per recarsi in un reparto oncologico di una nota clinica palermitana al momento dell’arresto – appare il boss di Castelvetrano nella prima foto, la prima da ex-latitante, nel furgone dei carabinieri del Ros: un volto irriconoscibile e lontanissimo se paragonato a quello del mafioso viveur, tutto occhiali Rayban camice costose e tombeur de femme che la vasta memorialistica ci ha tramandato in questi trent’anni di fuga.

Ecco, la fuga è il mistero insieme ai mille segreti che il pupillo di Salvatore Riina e poi di Binu Provezano conserva nella memoria, soprattutto quelli delle stragi del 1993 a Milano, Firenze e Roma. E se ne parlerà a lungo anche per le incredibili coincidenze temporali della cattura di oggi: esattamente il 15 gennaio del ’93 sempre i Ros arrestavano Riina assestando un colpo durissimo alla deriva terroristica che pochi mesi prima si era inserita con la mattanza di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle dinamiche politiche al massimo livello.

Sarà difficile spiegare a chi non c’era o non ricorda cosa è stata la deriva terroristica di Cosa nostra di cui Messina Denaro è stato tra i più fedeli servitori, quel mondo non c’è più. Lui, figlio d’arte di don Ciccio uno che è morto da latitante nel suo letto ed è stato fatto ritrovare esanime con il cappotto elegante addosso, è stato il trait d’union tra la mafia antica e quella sgargiante, tra i pizzini e Facebook, tra il governo feroce del territorio e grandi affari all’estero. “La testa dell’acqua” lo chiamavano alcuni dei suoi sodali, come a dire “l’origine di tutto“. E chissà se è stato proprio così o invece si tratta di un riferimento tra il biblico e l’esoterico di cui il linguaggio mafioso è pieno.

Quello che è certo è che è stato arrestato il passato di una mafia di cui conosciamo molto, quasi tutto, e quel che manca solo MMD potrebbe rivelarlo. Ma se mai dovesse parlare è il presente che sarebbe utile squadernasse. Perché se è vero che ha servito e officiato l’assalto allo Stato, Messina Denaro ha incarnato la trasformazione da Cosa nostra a Cosa Grigia (per usare una felice espressione di Giacomo Di Girolamo, tra i più capaci giornalisti che si occupano di mafia), tornando a quel periodo in cui erano le relazioni a fortificare ed espandere l’organizzazione, non i mitra e il tritolo perché la mafia vive di consenso non solo di paura.

E per il cronista oggi è tutto un dejà vu è tutto ciò che in queste ore avviene a Palermo, come un tempo, come un orologio che ci ha sbalzato indietro di 30 anni: le sirene impazzite a coprire il traffico, le indiscrezioni, le note di colore sulla cattura, gli scetticismi (“si è fatto catturare, lo hanno venduto“, questo il refrain), il rincorrere telefonicamente gli investigatori per comporre l’ultimo pezzo. In attesa che l’ultimo scalpo della mafia venga, come prima di lui tutti gli altri, messo in mostra per darci l’ultima illusione che è tutto finito. Ma come è diventata la mafia adesso non lo sa più nessuno.