Sono invisibili, fantasmi, anonimi. Passano intere giornate in attesa, appostati in auto o ad ascoltare ore e ore di intercettazioni inutili dove però una singola parola, un misero dettaglio può fare la differenza e consentire una svolta alle indagini. Sono gli investigatori speciali. Sono i Ros o la sezione Catturandi dei carabinieri, oppure i poliziotti della Squadra Mobile. Persone che per anni seguono sotto traccia, nella più totale discrezione, i latitanti.

“Non dormivo da tre notti” racconta un investigatore della Crimor dei Ros (Raggruppamento operativo speciale) in riferimento alle ore che hanno preceduto l’arresto del ricercato italiano numero uno, l’ultimo capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Il nome in codice del carabiniere speciale è Sandokan e in una intervista a Repubblica racconta la cattura di U’ Siccu, avvenuta dopo ben 30 anni di ricerche.

Sandokan racconta la vita degli uomini ombra, quelli che per lavoro sono costretti a restare nel buio, a non raccontare nulla anche ai propri familiari. “Ho trascorso intere giornate e intere notti in auto, accanto alle bottiglie vuote che si utilizzano se scappa un bisogno” racconta l’investigatore, da due anni nei Ros, a Romina Maresca, giornalista di Repubblica. “Sul cruscotto panini e acqua, sotto ai sedili i vestiti per cambiarmi – aggiunge -. Per tutti noi della Crimor la vita viene scandita dai tempi di chi pedini e la macchina diventa la tua seconda casa”.

Una vita che porta spesso, per non dire sempre, a stare lontano dagli affetti. “C’è chi una relazione stabile o una famiglia non se l’è mai creata. Al momento per me, ad esempio, è impossibile” sottolinea Sandokan. “La notte sogni il tuo obiettivo, non c’è altro nella tua testa. Si dicono tante bugie per tutelare il lavoro perché la riservatezza è la nostra prima regola. I miei genitori hanno saputo che ho catturato Matteo Messina Denaro solo dopo che lui era già arrivato in caserma”.

Per arrivare alla cattura di Matteo Messina Denaro hanno messo insieme per anni i dati riconducibili ad Andrea Bonafede, che aveva ‘prestato’ al boss di Castelvetrano la sua identità. “Abbiamo messo insieme i pezzi. Il riscontro sull’identità è stato fatto subito dopo da operatori del Ros che si dedicano a questo da una vita e lo hanno riconosciuto subito”. Poi due giorni fa la svolta: “Noi eravamo certi che fosse la falsa identità di Matteo Messina Denaro. Alle 9,15 sulle nostre radio, collegate tra loro, è arrivato il segnale. Quell’uomo col montone e il cappellino in testa era l’uomo che si presentava col nome di Andrea Bonafede, accanto a lui un accompagnatore. Erano in una stradina senza uscita. Gli abbiamo urlato: “Fermo, fermo, carabinieri”. Lui si è bloccato, lo abbiamo circondato coi nostri corpi mentre gli dicevamo: “Lo sappiamo che sei Matteo Messina Denaro” e lui ha risposto “Sì”. Era fatta, la caccia era finita”.

La gioia e “l’emozione non può avere il sopravvento” anche se “questa è l’operazione più importante della mia vita. Il 16 gennaio 2023 è una data che non dimenticherò mai, è scolpita nel mio cuore”. Ma per arrivare a un risultato così importante bisogna passare anche per tante delusioni. “Un giorno ci appostammo in una zona. Sapevamo che uno che pedinavamo da tempo aveva un appuntamento con un uomo che ci avrebbe portati dal boss. Ne eravamo praticamente certi, invece arrivati lì ci siamo accorti che non c’era alcun incontro. E’ stato difficile da digerire”.

Delusioni che si superano stando letteralmente insieme, facendo squadra. “Si organizza un briefing e se possibile anche una cena tra colleghi. Noi della squadra, in realtà, viviamo praticamente in simbiosi e quando c’è un ostacolo che ritarda le indagini siamo pronti a mantenere i nervi saldi. Cerchiamo di capire cosa migliorare”.

 

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