La premier esclude che ci possa essere stata una trattativa
Passerella di Meloni a Palermo, la premier in gita prova a intestarsi l’arresto di Messina Denaro
Da tempo i carabinieri del Ros sapevano che Matteo Messina Denaro era malato, due operazioni in sei anni, un tumore al colon in fase avanzata, bisognoso di specifiche cure, una prospettiva di vita non lunga nonostante i sessant’anni. Da allora, gli ultimi due anni, hanno iniziato un lavoro capillare, dal basso, “con tradizionali metodi investigativi, soprattutto le intercettazioni” e “da remoto” come ha spiegato il procuratore Maurizio De Lucia, “attraverso le liste delle persone in cura custodite dal Servizio sanitario nazionale”.
Un giorno dopo l’altro quella lista di migliaia di nomi in cura in tutta Italia – e non solo a Palermo o in Sicilia – è diventata sempre più sottile. Fino a concentrarsi su quello di Andrea Bonafede, cognome che poteva avare attinenza con la cerchia di familiari del boss dei boss e il numero uno nella lista dei ricercati in tutto il mondo. Il signor Bonafede era già stato sei volte alla clinica di Palermo “La Maddalena” struttura di eccellenza in Sicilia per le cure oncologiche. “Abbiamo lavorato per anni giorno e notte, senza sosta, massima riservatezza, anche a Natale e Capodanno siamo stati qua – ha sottolineato il generale comandante del Ros Pasquale Angelosanto – fino a stamani quando, informati che sarebbe stata un’altra giornata di cure e terapie, il signor Bonafede una volta arrivato all’accettazione ha detto al collega che lo ha fermato: Sì sono Matteo Messina Denaro”.
Usciranno tanti dettagli nelle prossime ore e giorni sulla fine della latitanza dell’ex numero uno di Cosa Nostra. Ci saranno, come si augura il membro laico del Csm ed ex procuratore Nino di Matteo, “molti sviluppi e, ci auguriamo, una sincera collaborazione”. Ma una cosa deve essere chiara a tutti: la fine della latitanza di Diabolik – uno dei nomignoli di Messina Denaro, l’altro era U Siccu – è il risultato di un lavoro corale durato anni e senza etichette politiche. Il cui merito esclusivo va alle donne e agli uomini delle forze dell’ordine. Dunque oggi lo Stato vince. Dopo aver però perso per trent’anni. La premier Giorgia Meloni ha valutato di andare di persona a Palermo per rendere omaggio alla stele della strage di Capaci e poi stringere la mano a magistrati, il procuratore De Lucia e il pm Paolo Guido. Una cerimonia di “grazie” e “complimenti” che la premier, accompagnata dal sottosegretario Alfredo Mantovano, ha voluto consegnare al Paese grazie alle immagini diffuse su tutte le tv, i siti e i canali social.
E raccontare con una narrazione che ha una serie di fortunate coincidenze: “È una brande emozione per me essere qui oggi in una giornata come questa. Il mio percorso politico inizia trent’anni sulle macerie di Capaci e via d’Amelio”. E oggi quel cerchio può dirsi chiuso visto che Messina Denaro era l’ultimo stragista condannato a decine di ergastoli ancora latitante. Ma è un cerchio non concluso perchè c’è ancora molto da sapere su quelle stragi e cosa successe veramente tra lo Stato e Cosa Nostra tra il 1992 e il 1994. “La mafia non è sconfitta” ha precisato il procuratore De Lucia. La premier Meloni ha deciso di andare a Palermo e di mettere la sua faccia accanto all’operazione. Per qualcuno è stata “una doverosa testimonianza” . Alcuni fedelissimi, ad esempio Giovanni Donzelli, ha attribuito “alla destra” il merito di questo successo. “Grazie a tutte le forze dell’ordine – ha scritto su twitter – con la destra al governo la lotta alla mafia sarà sempre al centro sulle tracce di Falcone e Borsellino”. L’amico e direttore Vittorio Feltri si è spinto oltre: “Ci voleva la Meloni per togliere ogni protezione all’ex inafferrabile criminale”.
Ecco, i Fratelli d’Italia provano a mettere il cappello sull’arresto del superlatitante. La premier Meloni, tornata da Palermo, ieri sera è stata ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica. Alla domanda sulle tesi complottiste per cui “Messina Denaro non è stato arrestato ma consegnato perché molto malato” la premier si è molto risentita. Il pentito ex prestanome dei fratelli Graviano Salvatore Baiardo ha detto di recente, intervistato da Massimo Giletti, che “questo governo potrebbe avere presto un regalo” alludendo proprio all’arresto di Messina Denaro. “Nessuna trattativa” ha escluso Meloni, “possibile che questo paese non riesca mai a festeggiare i momenti belli? E poi, cosa vuol dire: che finché c’è stata la sinistra al governo il boss non poteva essere arrestato?”. Lasciamo perdere le trattative. È un fatto però che trent’anni di latitanza sono tanti. Troppi.
È un fatto anche che il nuovo ergastolo ostativo, che Meloni rivendica come primo atto del suo governo (fu inserito nel decreto rave), garantisce ai boss condannati e molto malati di poter essere curati a domicilio se hanno dato prova di una profonda ed efficace collaborazione. Riina e Provenzano, molto malati, morirono in carcere. Così come è un fatto che ad oggi questo governo non ha ancora insediato la Commissione parlamentare antimafia. Lo ha ricordato Zanettin di Forza Italia. Ieri sera è stata, finalmente, fissata una data: il 27 gennaio.
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