Mario Lavia, nella sua recensione su Il Riformista (7 gennaio 2025) dell’ultimo libro di Claudio Martelli, Il merito, il bisogno e il grande tumulto (La Nave di Teseo), sottolinea l’importanza di “cercare ancora”. Riflettiamo sul significato di questa espressione.

Oggi sembra mancare un nuovo statuto teorico per la sinistra riformista, capace di affrontare le sfi de contemporanee e di proporre un’alternativa concreta al pensiero neoliberista. Tuttavia, prima di immaginare una visione alternativa è necessario comprendere perché il modello neoliberista debba essere messo in discussione e quali siano, al contempo, i fattori che ne garantiscono il successo globale. Nella ricerca di un nuovo quadro teorico, il libro di Martelli può rappresentare un punto di partenza significativo per stimolare proprio questo dibattito. Il testo ruota attorno alla celebre formula “merito e bisogno”, introdotta durante la conferenza programmatica del PSI, a Rimini, nel 1982.

All’epoca, questa intuizione mirava a superare le divisioni ideologiche, offrendo una chiave interpretativa universale per affrontare le sfide sociali e delineare una visione inclusiva del socialismo. Oggi Martelli riprende quell’intuizione per esplorare come questa relazione possa aiutarci a comprendere e affrontare le complessità del presente. Questo binomio affonda le sue radici nella natura umana: merito e bisogno, infatti, pur distinti, si completano a vicenda delineando una visione politica dalla vocazione universale. Il bisogno esprime l’universalità della condizione umana, rappresentando il diritto alla dignità, alla cura e al sostegno; il merito, invece, valorizza la capacità individuale di eccellere, innovare e contribuire al progresso collettivo. Quando armonizzati, questi elementi possono generare benefici diffusi, costruendo una società più giusta ed equa.

Martelli propone di superare una visione statica dell’uguaglianza, rappresentata dalla metafora di una falce che livella ogni differenza, rischiando di annullare le specificità individuali. La giustizia, al contrario, viene simboleggiata da una bilancia che soppesa esigenze e capacità, cercando un equilibrio. Per questo motivo, il discorso sulla giustizia dovrebbe prevalere, superando l’idea di un’uguaglianza uniforme e indistinta. Il socialismo delineato da Martelli non si oppone al liberalismo, ma, come auspicato da Carlo Rosselli, ne rappresenta un’evoluzione. Riprendendo alcuni aspetti dell’opera di John Rawls, l’autore invita a ripensare il dogma della proprietà illimitata attraverso un dialogo costruttivo con il liberalismo. Questo socialismo non si fonda su un’ideologia immutabile, ma adotta un approccio dinamico, ridefinendo continuamente le proprie basi in risposta ai problemi del presente.

Un socialismo che, pur riconoscendo l’impossibilità di affermare verità assolute, non cede al relativismo culturale, spesso illiberale, presente in parte della cultura progressista statunitense. Al contrario, questa visione si ispira alla lezione di Amartya Sen, che valorizza la pluralità storica e culturale attraverso una filosofia incentrata su processi e relazioni. Esistono diritti e doveri, verità e falsità, e valori fondati sulla ragione e sulla laicità di un libero confronto. Ma tornando ai punti iniziali, da cosa deriva questo vuoto teorico? L’assenza di una solida base rifl ette un contesto economico e tecnologico globalizzato, mentre la politica continua a operare entro confi ni tradizionali.

Questa asimmetria tra potere economico e politico genera disuguaglianze profonde e ostacola l’attuazione di una concreta prospettiva politica globale. Inoltre, si è diffusa l’idea che la politica, oltre a essere debole, rappresenti un ostacolo a un’organizzazione mondiale più effi ciente. Al cuore del neoliberismo c’è l’idea di inglobare la nostra individualità, rendendola misurabile e funzionale al sistema. Il digitale, seguendo la stessa logica, mira a integrare le soggettività nell’apparato tecnico, trasformandole in elementi di un ecosistema integrato. Ogni aspetto della realtà viene duplicato digitalmente, creando un “gemello digitale” che segue la logica dell’efficienza. Le nostre vite si stanno così adattando non solo all’ambiente naturale, ma anche a uno spazio ibrido analogico-digitale.

Il digitale non sarà più un semplice strumento, ma diventerà indispensabile per tutte le attività future, private e lavorative, rivoluzionando processi sociali, economici e relazioni tra persone e sistemi. Tuttavia, questo ecosistema progettato per massimizzare l’efficienza sembra essere sempre più inconciliabile con la logica liberale, che rivendica uno spazio di libertà individuale non normato. La forza del sistema tecnico-scientifico risiede nella sua portata globale, mentre la politica rimane limitata ai confini degli Stati nazionali. Solo una visione cosmopolita, capace di integrare il locale e il globale, può invece riuscire a rispondere alla necessità di un’organizzazione politica su scala mondiale.

In questa prospettiva, è necessario continuare a cercare un equilibrio tra le esigenze territoriali e le sfide globali. Il binomio tra merito e bisogno rappresenta un primo passo nella direzione giusta, ma sarà valido anche per le nuove forme di soggettività ibride che emergeranno nel futuro?

Luca Taddio

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