La legge manifesto
Il nuovo codice della strada di Salvini: la legge che rassicura l’elettorato e non investe sull’educazione

La parte generale del codice è ricca di norme definitorie relative a categorie dogmatiche, la cui costruzione tradizionalmente è riservata alla libertà dell’interprete, che induttivamente ricostruisce il significato di concetti generali e astratti. Gli ordinamenti stranieri, infatti, in un rispettoso equilibrio tra formate legislativo e quello dottrinale, non prevedono tali definizioni, riconoscendo come prerogativa della dottrina proprio quella di fornire un argine a protezione dell’individuo rispetto a eccessi punitivi. Idealmente la dogmatica si pone, quindi, quale limite garantista alle scelte di criminalizzazione, in una relazione dialettica con la politica criminale. La scelta del codice Rocco, invece, affievolisce il ruolo di controllo critico della scienza penale, imbavagliando l’interprete in un rigido schema normativo.
La presenza di norme definitorie ha anche il pregio di favorire la certezza e l’omogeneità applicativa, nel rispetto del principio di uguaglianza. Nella definizione di reato colposo, ad esempio, risalta l’essenza della colpa quale violazione di una regola di diligenza, che determina il superamento del rischio consentito e una maggiore potenzialità lesiva della condotta. Nonostante le definizioni contenute nella parte generale costituiscano un limite anche per il legislatore, alcune riforme, chiaro frutto di arbitrio normativo, hanno portato ad una frantumazione della colpa in diversi sottosistemi, non sempre coerenti con la categoria dogmatica costruita sulla definizione codicistica. È legittimo che alcuni settori della parte speciale abbiano regole “eccentriche” rispetto a quelle previste nella parte generale, ma tale deviazione deve essere contenuta nei limiti dei princìpi e dei caratteri del diritto penale, nel rispetto di un ordine sistematico.
La colpa stradale è paradigmatica di una tendenza centrifuga dall’archetipo di colpa delineato all’art. 43 c.p., in quanto prescinde, in alcuni casi, dalla violazione di regole cautelari in senso stretto. Nel comma primo dell’art. 589 bis c.p. l’incremento sanzionatorio dell’omicidio stradale è giustificato dalla pericolosità del contesto e della attività in cui si verifica l’evento morte e dalla necessità di richiamare gli utenti della strada all’osservanza delle norme di diligenza. È superfluo sottolineare che la violazione della disciplina della circolazione stradale deve riguardare quelle norme che presentino un contenuto preventivo-cautelare.
Nell’ipotesi di abbandono di un animale domestico che provochi un incidente mortale, l’evento tipico non pare sia conseguenza della violazione di ulteriori regole preventivo-cautelari: il legislatore ha introdotto una ipotesi di responsabilità oggettiva, in cui la morte è conseguenza della contravvenzione prevista dall’art. 727 c.p., senza alcun riferimento ai criteri di imputazione colposa. I commi successivi disciplinano l’omicidio stradale nel caso di guida in stato di ebbrezza e/o in stato di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti. La guida in stato di ebbrezza, prevista dall’art. 186 del c.d.s., viene accertata in base al superamento del tasso alcolemico, che prescinde da una verifica empirica, introducendo una presunzione di tale stato.
Anche il novellato art. 187 del c.d.s. punisce la guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, senza l’accertamento dell’alterazione psicofisica. Nonostante il rinvio operato dall’art. 589 bis c.p. agli articoli del c.d.s. occorre tenere distinti le ipotesi contravvenzionali extra codicem, il cui scopo è garantire in generale la sicurezza della circolazione, rispetto al delitto colposo che deve essere integrato da specifiche regole preventivo-cautelari poste a tutela della vita e della incolumità individuale. Le fattispecie contravvenzionali sono norme precauzionali e non preventivo-cautelari, costruite su reati di pericolo astratto-presunto. Per l’imputazione colposa, invece, è necessario accertare la violazione di una regola preventivo-cautelare, il cui scopo sia proprio prevenire l’evento che in concreto si è verificato ed evitabile attraverso il comportamento alternativo lecito.
Nel caso si cagioni per colpa la morte di una persona alla guida di un veicolo in stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica, la maggiore pericolosità della condotta non è accertata in concreto e neanche è richiesto di verificare una correlazione tra tale stato e l’evento morte. La irragionevole pena edittale, sproporzionata per un illecito colposo, è quindi avulsa da qualsiasi valutazione in termini di offensività. Alla palese violazione del principio di ragionevolezza, si aggiunge un vulnus al principio di colpevolezza, con l’introduzione di una forma di versari in re illicita: se si integra la fattispecie di cui all’art. 589 bis c.p. con le norme del codice della strada, queste, non essendo regole preventivo-cautelari, non possono fondare una imputazione colposa; se invece lo stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica sono elementi da accertare in concreto, la norma è affetta da un deficit di tassatività, perché tale stato non può essere empiricamente accertato. L’aggravamento di pena per guida senza patente o senza assicurazione si inserisce in questa logica iperdeterrente e moralizzatrice, volta a colpire categorie di utenti della strada, prevalentemente per la condotta di vita.
L’inefficacia della disposizione codicistica (cfr. dati ISTAT) svela la natura simbolica di una legge-manifesto, che rassicura l’elettorato e cela la totale assenza di investimenti sull’educazione stradale e sugli interventi strutturali che rendano più sicure le strade. Il fallimento di questa strumentalizzazione della sanzione penale per fini preventivo-pedagogici è evidente, mentre le deroghe alla disciplina generale della colpa determinano solo spinte centrifughe e distorsive che indirizzano l’evoluzione del sistema penale verso orizzonti insensibili ai princìpi di garanzia del diritto penale.
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