Mentre Milano si prepara a ospitare le Olimpiadi Invernali 2026, un evento che promette di proiettare la città sotto i riflettori del mondo, un’altra realtà – meno scintillante – rischia di smorzare i nostri entusiasmi olimpici: quella di migliaia di lavoratori che, pur contribuendo ogni giorno alla vitalità della città, lavorano e vivono sotto la soglia di povertà. A Milano il costo della vita è aumentato vertiginosamente, rendendo sempre più difficile per molti lavoratori – soprattutto giovani, precari e impiegati nei servizi – arrivare a fine mese. Il paradosso è evidente: si lavora, ma si resta poveri. Anche la classe media, un tempo motore della crescita urbana, oggi fatica a sostenere il peso di affitti, trasporti, servizi e spese quotidiane. Il divario tra stipendi e costo della vita si allarga anche per loro, alimentando una crescente frustrazione verso una città che aveva promesso benessere e opportunità.

Questa condizione non è solo ingiusta, è anche incostituzionale. L’articolo 36 della Costituzione italiana stabilisce che ogni lavoratore ha diritto a una retribuzione “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. A Milano, questo diritto è oggi sistematicamente violato. Il report elaborato dal Think Tank Tortuga e Adesso! parla chiaro: il 10% dei lavoratori dipendenti percepisce meno di 9 euro lordi l’ora. Le retribuzioni più basse si aggirano tra i 6 e i 7 euro orari, ben al di sotto della soglia di povertà stimata in 10 euro nella Città Metropolitana. Anche chi lavora in appalti comunali – come nei servizi museali – non è escluso. Il costo della vita, intanto, continua a salire. Per un giovane lavoratore single, vivere a Milano costa in media il 23% in più rispetto ai piccoli comuni lombardi. Il potere d’acquisto si erode, eppure la produttività del lavoro resta mediamente alta rispetto al resto d’Italia. Il risultato? Una città che cresce, ma che lascia indietro chi la fa funzionare.

La soluzione esiste, è concreta e già sostenuta da autorevoli economisti e giuslavoristi delle università milanesi: avviare una contrattazione integrativa territoriale. Questo strumento permetterebbe di adattare i minimi salariali previsti dai contratti collettivi nazionali al contesto specifico milanese, tenendo conto: della maggiore produttività media del lavoro nella città metropolitana; del più alto costo della vita; della soglia di povertà determinata dall’Istat per l’area urbana. Il Comune di Milano, in quanto datore di lavoro (diretto e indiretto) e attore istituzionale, può e deve farsi promotore di questa stagione di concertazione. Può convocare tavoli con le parti sociali, rimuovere ostacoli burocratici e dare il buon esempio nei propri appalti. Può e deve soprattutto dare un segnale politico, al Governo e alla Regione, parlando chiaro: non è solo sui costi che si deve lavorare, ma anche sui salari che in Italia sono al palo da oltre 30 anni. Un’occasione per il Sindaco Sala di togliere il centrosinistra dal cul-de-sac in cui si è messo con il dibattito velleitario sul salario minimo legale nazionale.

Le Olimpiadi non sono solo un evento sportivo: sono una vetrina globale. Milano ha l’opportunità di mostrarsi non solo come capitale dell’innovazione e dell’architettura, ma anche come città giusta, che non tollera il lavoro povero e che protegge chi contribuisce ogni giorno alla sua bellezza e al suo funzionamento. La petizione chiede al Comune di Milano di cogliere questa occasione storica per dimostrare che una città moderna non è solo quella che costruisce grattacieli, ma quella che garantisce dignità a chi li pulisce. Possono firmarla cittadini residenti e city user sul sito www.partecipazione.comune.milano.it. Se si raggiungono almeno mille firme, la Giunta sarà tenuta da Statuto a rispondere, in maniera chiara e senza equivoci: sarebbe già un primo risultato concreto per tutti quei cittadini che sul tema aspettano risposte.

Enrico Maria Pedrelli e Francesco Armillei

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