Le discussioni
Il Parlamento litiga anche per le risoluzioni su Israele, la destra non distingue Hamas e Palestina mentre la sinistra resta ambigua
Un altro punto controverso, entrato e uscito in varie risoluzioni, è stato il tema degli aiuti umanitari alla Palestina. Sull’onda del testacoda accaduto lunedì a Bruxelles.

La Lega e un pezzo di Fratelli d’Italia hanno fatto di tutto per dividere seguendo la narrazione precostituita di Salvini: “A sinistra ci sono gli amichetti di Hamas…”. Antonio Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, ha fatto il miracolo di spezzare una spirale che poteva degenerare. Nell’informativa, alle 13 alla Camera, a seguire al Senato, sull’attacco terrorista di Hamas contro Israele, il titolare della Farnesina ha usato le parole giuste per condannare i terroristi, per schierare il governo dalla parte di Israele “unica democrazia nel quadrante mediorientale”, nel rivendicare il suo diritto-dovere alla difesa, nel chiedere i corridoi umanitari per i civili e i soccorsi, nell’attivare tutte le strade della diplomazia per evitare l’escalation militare, nel tutelare il tavolo degli Accordi di Abramo. Il principio “Due popoli, due Stati”.
La mossa vincente
Ma per come si era messa la situazione – una risoluzione di maggioranza che potevano diventare due se la Lega avesse puntato troppo i piedi e ben cinque risoluzioni per le cinque forze di opposizione – la mossa vincente di Tajani è stata quella di dare pareri separati ai singoli capoversi, i più divisivi, e farli poi votare per parti separate. Il risultato è che la temuta frantumazione del Parlamento è stata più indolore del previsto. Certo, il colpo d’occhio finale è che neppure di fronte al terrorismo di Hamas il Parlamento italiano è riuscito ad essere unito e compatto.
A destra si è voluto tenere il punto e sovrapporre il terrore alla legittima aspirazione del popolo palestinese ad avere l’agibilità di un proprio Stato. È stata soprattutto la Lega a ribadire in ogni intervento “lo stop agli aiuti al popolo palestinese” condannandolo e schiacciandolo sull’unica dimensione del terrore. “Hamas e la Palestina non possono più essere distinti”, ha detto il sottosegretario Fazzolari, uomo ombra di Meloni.
Nel centrosinistra si è discusso fino alla fine perché 5 Stelle e Sinistra e Verdi hanno mostrato forse troppa ambiguità e troppi distinguo nel separare l’azione di Hamas dal destino della Palestina e nel voler puntare il dito anche contro il premier israeliano Bibi Netanyahu. Il Pd si è alla fine schierato con loro per non dare l’impressione di un’opposizione divisa in cinque parti accusando però la maggioranza di aver provato solo a dividere e mai ad unire.
“Nulla su cui trattare”
Il Terzo Polo, Italia Viva e Azione, si sono invece subito ritrovati perché non hanno mai avuto dubbi su cosa dire. “Non c’è nulla su cui trattare”, hanno detto poi negli interventi Maurizio Del Barba (IV) e Mara Carfagna (Azione). “Noi abbiamo le idee molto chiare, nessuna ambiguità, nessun ma-anche e meno che mai i soliti né-né. I terroristi non sono martiri della libertà e Hamas ha fatto di Gaza una prigione a cielo aperto”. Risoluzione a parte anche per +Europa ma solo per questioni di tempo.
Alla fine però le divisioni sono state annullate. Tutti hanno votato tutto, maggioranza ed opposizioni a dimostrazione che le differenze erano solo pretesti. L’unica parte bocciata è il quinto capoverso della mozione Pd-M5s- Sinistra e Verdi in cui si dice che “il processo di pace è stato messo in grave crisi da iniziative unilaterali da entrambe le parti, come continui attacchi missilistici provenienti da Gaza e l’allargamento, sostenuto dal governo israeliano, degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania”. Insomma, la responsabilità non è da una parte sola. Un distinguo inaccettabile per tutte le altre forze politiche.
Un altro punto controverso, entrato e uscito in varie risoluzioni, è stato il tema degli aiuti umanitari alla Palestina. Sull’onda del testacoda accaduto lunedì a Bruxelles quando il commissario ungherese Olivér Várhelyi ha detto “stop al finanziamento annuale (circa 700 milioni) all’Autorità nazionale palestinese”. Una dichiarazione smentita con vigore qualche ora dopo dal ministro degli Esteri Borrell: “Tagliare quei fondi vorrebbe dire aiutare i terroristi e Hamas”.
Il nodo degli aiuti umanitari
Il punto degli aiuti e delle onlus che si fanno carico di raccogliere e veicolare è molto sensibile. Al centro della telefonata tra Meloni e Netanyahu sabato poche ore dopo l’irruzione dei commandos di Hamas nel territorio israeliano. All’attenzione del Copasir in queste ore. E di alcune procure italiane. Come già anticipato ieri da Il Riformista, Tel Aviv cerca di seccare da tempo i canali di finanziamento. Con fortune alterne. A giugno – segno che gli alert erano arrivati all’intelligence israeliana – sono stati arrestati in Olanda due persone, padre e figlia, perché accusati di inviare soldi ad Hamas.
Tel Aviv ha chiesto alcune misure – dal sequestro all’arresto – anche per alcune figure che vivono in Italia e ruotano intorno ad un network di onlus tutte dedite alla raccolta fondi per la Palestina. Per le autorità israeliane è la solita copertura. Il network fa capo alla Abspp (Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese) che ha il suo quartier generale a Genova. Il presidente, l’architetto Mohammad Hannoun, è un personaggio molto popolare nel mondo delle onlus. A cui piace intrattenere rapporti politici di livello: entrava e usciva dalla Farnesina ai tempi di Manlio Di Stefano sottosegretario (Conte 1), è certamente in buoni rapporti con Alessandro Di Battista.
Insieme a gennaio scorso hanno organizzato una missione nel sud del Libano, per portare aiuti ai campi profughi vicino a Sidone. Che sono anche, secondo i report di intelligence, quelli a maggior rischio infiltrazione da parte di Hezbollah. Insieme a loro c’era la deputata 5 Stelle Stefania Ascari. Già nel 2008 e poi nel 2021 Hannoun è finito nel mirino dell’antiterrorismo e della Finanza che bloccò i conti per “una serie di attività sospette”. Tutto rientrato. Fino a pochi mesi fa quando il governo di Tel Aviv ha presentato una nuova richiesta di accertamento.
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