Il ritorno a casa
Il Pd riparte dal ‘cinese’ Cofferati, il papa nero della sinistra girotondina che rilanciò Berlusconi
E dire che ci fu una stagione che la sinistra girotondina lo invocava come papa nero. L’alternativa a Silvio Berlusconi, l’uomo che le cantava anche all’onorevole Massimo D’Alema, mandando in visibilio gruppi di famigliole con il cestino, che lo seguivano da tutta Italia per i suoi comizi, quando la Cgil funzionava anche come agenzia viaggi. Correva il 2002, l’anno fortunato della Woodstock del Circo Massimo, l’articolo 18 non si tocca, il Joe Cocker di Piazza Navona, quando Nanni Moretti scagliò il famoso anatema, “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Tempi in cui il cinese non era ancora diventato Tex, lo sceriffo da legge ed ordine, che pure riconquistò Bologna dall’infedele Guazzaloca, ma semplicemente la risorsa a cui pensava anche il cineasta, improvvisato leader dei girotondini. Allora il cinese era soprattutto quello, il papa nero idolatrato da Repubblica, altro che gli scialbi Rutelli e Fassino.
Il tenace comandante della Cgil, in grado persino di contrastare il presidente della Quercia, il mitologico Baffino, considerato persino liberale, fu anche l’uomo del giorno, in quei giorni. E che apoteosi, quando lasciato l’incarico nel sindacato rosso, tornò a lavorare, come perito industriale alla Pirelli, l’uomo normale braccato dalle telecamere, la punta di diamante bramata dagli editorialisti di riferimento, alle prese con il ritorno in fabbrica, anche se più banalmente era un ufficio, in cui comunque restò molto poco.
Eppure il cinese non scelse di raccogliere il biglietto vincente della lotteria abbandonato anni prima da Mario Segni, decise piuttosto la candidatura a sindaco nella capitale dell’Emilia Romagna, che aveva subito il sacrilegio di essere governata per la prima volta da un non comunista. E fu ancora apoteosi, il combattente concreto che sceglie il territorio, l’antiberlusconismo che si difende nelle roccaforti, ed amenità di altro genere. Ma a Bologna purtroppo non andò molto bene, tutt’altro, si verificò piuttosto l’epicentro di una delle tante metamorfosi del cofferatismo. L’eroe delle piazze, che anticipò il populismo dei tinelli e delle terrazze, si trasforma nello sceriffo. E che delusione per i compagni, che botta vedere il primo cittadino muoversi contro le baraccopoli abitate dagli stranieri, additare come nemici i lavavetri, reclamare legalità, come un berlusconiano qualunque. A dire le cose chiaramente, un altro sindacalista prestato alla politica, Fausto Bertinotti: “Come definire se non sconcertanti le prese di posizione di un sindaco che interpreta la legalità con lo sgombero di povere persone che non sanno dove andare?”.
Lo avete capito, lui non era più lui, d’altra parte tra i portici della città, c’è chi lo vide allungare il brodo dei tortellini con un bicchiere di vino rosso, e chissà se almeno era Lambrusco.
Bologna fu comunque una grave battuta d’arresto (arrivò persino a dire: “È mio dovere quale pubblico amministratore difendere i cittadini anche da loro stessi”, uno psichiatra con la fascia tricolore), meglio cambiare aria. Così fu la volta di Genova, per ricongiungersi con la moglie e con il secondo figlio appena nato. Il tempo giusto per concedersi una fuitina a Bruxelles, dopo l’elezione a parlamentare europeo, e dove per la verità non lo videro frequentemente, in Belgio in effetti non risulta esserci il mare.
I ‘demoni’ però lo chiamano nuovamente, che sia un’altra possibilità per tornare l’eroe della sinistra? A Palazzo Chigi era arrivato un fiorentino impertinente, con l’ardire di riformare il mercato del lavoro con il jobs act, roba che neanche D’Alema ci aveva provato. Insomma pane per i suoi denti, il cinese si rimette in battaglia. In Liguria si vota per le regionali, e la candidata naturale del Pd è Raffaella Paita, una quarantenne spezzina che guarda con simpatia al Presidente del Consiglio. Uno più uno fa due, l’occasione giusta che Sergio aspettava, con la conseguente decisione di sfidarla alle primarie. L’esito però non è soddisfacente, siamo nel 2015, Cofferati perde di 4000 voti, fermandosi al 45,6%.
Un affronto da lavare con il sangue, così prima l’ex sindaco di Bologna contesta la regolarità del voto nei gazebo, poi escogita il modo di danneggiare mortalmente il suo partito, ed uscire dal Pd. Il cinese è una furia, nel mirino Matteo Renzi nemico postumo dei cestini del Circo Massimo, e Raffaella Paita, la spezzina che ha osato sconfiggere un mostro sacro. Ovvero lui medesimo, l’uomo dalle molte vite.
Le sue dimissioni in Liguria creano un terremoto, l’ex sindacalista affida il testimone della riscossa ad un promettente alfiere, Luca Pastorino, uscito anche lui insieme ad altri dai dem (una particolarmente nota, si chiama Elly Schlein), e presenta una lista di sinistra alternativa al Pd alle elezioni regionali. Morale della storia, alla fine Tex Willer consegna la ‘superba’ ad un outsider, candidato da Silvio Berlusconi, il giornalista Giovanni Toti, proprio grazie alla percentuale che Pastorino sottrasse alla Paita. Da apprezzare l’iperbole: Cofferati ed i suoi lasciano il Nazareno accusato per le ‘larghe intese’ che rimettevano in campo il leader di Forza Italia, ed a Genova consegnano la Regione proprio ad un esponente berlusconiano.
Poi a missione compiuta il cinese scompare, qualche trafiletto che informa sul passaggio a Sinistra Italiana, ed il seggio mancato (di nuovo) alle elezioni del 2018.
Il tutto fino ad ieri, ovvero all’annuncio del suo ritorno a casa, nel Pd. D’altra parte il cinese era l’ultimo che mancava, come farne a meno? Chissà se le sue peregrinazioni saranno finite.
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