Quel Congresso del “nuovo Pd” che non decolla e un deficit di leadership politica. Il Riformista ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York. La professoressa Urbinati è stata chiamata a far parte del Comitato costituente che dovrebbe declinare una proposta di manifesto del Partito in costruzione.

Un dibattito che stenta a decollare e che rischia di appiattirsi sul posizionamento dei maggiorenti dem su questo o quel candidato alla segreteria. Professoressa Urbinati, il “nuovo” Pd è ridotto a questo?
È quello che il Pd può offrire dato lo statuto che ha. Uno statuto che lo obbliga per forza ad arrivare alle primarie aperte per eleggere il suo segretario. È inevitabile che ci sia campagna elettorale, che ci siano candidati e anche dei capi bastone organizzati attorno a quello o questo candidato. Con lo statuto che è in vigore questa è la condizione normale. Tutto quello che vediamo o leggiamo, in Tv o sui giornali, è il riflesso di un partito che cerca di riposizionare se stesso eleggendo un candidato ideale – un profeta che sia, si badi bene, disarmato. Una ricerca che viene lasciata ai voti anche di non iscritti. E probabilmente sarà una leadership, come quelle precedenti, che rischia di consumarsi, dopo le elezioni con il paradosso di una forte legittimità elettorale e una debole legittimità politica interna per cui le fazioni/correnti non sembrano destinate a cambiare e tanto meno a sciogliersi, ma che anzi si riaccendono proprio in occasione di questa discussione. Lo si è visto.

Quella imboccata è una via senza uscite?
Non è un destino cinico e baro quello che investe il Pd. Le vie ci sarebbero. Ma quella che stenta a concretizzarsi è una volontà politica condivisa nel ricercarle. In questo momento nessuno vuole porsi la questione di come uscirne e uscirne in meglio per il partito nel suo insieme. Nessuno dei candidati si esprime in questo senso, perché ciascuno di loro sa che quello è un campo minato. Proviamo a immaginare la riscrittuta di una Costituzione con gli attori in campi diffidenti gli uni degli altri, e intenzionati a resistere ad ogni forza unitiva che li possa indebolire. Non c’è accordo, altrimenti ci sarebbe la possibilità di riscrivere le regole, di rimettere mano a quel manifesto dei valori che ha fatto il suo tempo, nei contenuti e nello stile. Insomma, ci sarebbe la possibilità, se…. Ma non c’è perché non c’è armonia tra le parti. È una lotta interna che impedisce la riscrittura di queste regole nuove – quelle che ci sono gestiscono al meglio un armistizio.

Tutto questo avviene in un momento in cui ci sarebbe bisogno, in Parlamento e nel Paese, di una opposizione, per usare un aggettivo caro a Enrico Letta, “pugnace” al governo Meloni.
Nel momento in cui più ci sarebbe bisogno di una opposizione intelligente e pugnace, una siffatta opposizione è solo nei desiderata. Una opposizione che non esiste nella realtà. In queste settimane abbiamo visto tentativi di bloccare, attraverso il filibustering parlamentare, la pessima manovra economica e sociale del Governo, ma il presidente del Senato ha poi il potere di far cadere la scure e così rimettono a posto le cose. Per dire che la minoranza non ha oggettivamente molto spazio di manovra parlamentare, anche perché è un’opposizione divisa quella di Pd e 5Stelle. Anche per questa ragione sarebbe importante avere una stampa, un’opinione pubblica, che dia più energia, spazio e sostegno all’opposizione. Questo non avviene. Quindi l’opposizione è debole all’interno, non ha un sostegno forte all’esterno e non riesce nemmeno a costruirselo da sola, attraverso i movimenti e anche forme di mobilitazione, che sono necessari e non un segno di anarchia (la democrazia è luogo del dissenso, non solo del consenso). E così viviamo come in una bolla. Come se, ed è questa la cosa che a me più stupisce, questo fosse il migliore dei possibili governi in questo momento. Perché si tende a giustificare questo Governo. Certo, si dice che c’è un litigio interno. Ma il problema non è il litigio interno, che ci può stare in un esecutivo di coalizione; dovrebbe interessare giudicare che cosa produce e non se c’è litigiosità. Ma è mai possibile che una conferenza stampa della presidente del Consiglio sia dominata dalla questione della stabilità della coalizione e non invece dai contenuti inegualitari e dispendiosissimi per i contribuenti (quelli che pagano, si intende)? A me sembra che non sia un periodo buono per la nostra politica nazionale.

Tornando al dibattito congressuale del Pd. Le candidature sono in campo. Le convincono?
Mi sembrano candidature “a coppie”. Una parte e l’altra con due forme candidati che, per la loro indivuale specificità, dovrebbero coinvolgere diversi soggetti all’interno della stessa aerea. Un’area più centrista e l’altra più spostata verso l’ecologismo e la sinistra. Vediamo come si svilupperà questa competizione. Per ora gli attori esprimono opinioni che sono in molti casi o poco diversificate o ambigue. Al momento non mi pare che ci sia una vera e propria campagna elettorale. C’è un posizionamento rispetto alle forze interne al partito, alle varie consorterie. È una situazione abbastanza debilitata, che non attira la passione, non muove emozioni particolari se non l’attesa di chi sarà il nuovo segretario.

Alla luce di tutte queste considerazioni, il “nuovo” Pd già nasce vecchio?
Per me non è un problema di vecchio o giovane. È che nasce disfunzionale. Perché internamente è duale. Non si tratta di una polarizzazione ma di una dualità. Ci sono due luoghi ideali che hanno le loro caratteristiche riferite ad un passato che era quello democristiano, da un lato, e quello laico-socialista, socialriformista, dall’altro. A questo punto ci si può chiedere: invece di assistere a questa eterna lotta per l’egemonia, non sarebbe meglio avere queste due espressioni rese evidenti ovvero che operano insieme ma in maniera federata. Continuando in questo modo, l’una parte blocca l’altra, con un sistema di veti che immobilizza o non consente al Pd, soprattutto in questo momento, di svolgere una funzione pugnace e intelligentemente attiva. È un problema serio. Che non si risolve nell’arrovellarsi sull’identità. Le identità dei partiti sono anche funzionali al momento. Non sono mai identità totalmente scorporate dal contesto. In quel partito ci sono due chiare direzioni di marcia. Due. Una vuole, l’altra non vuole. Una vuole “a”, l’altra vuole “b”. Su questioni non marginali, che hanno a che fare con il come interpretare il lavoro in relazione al capitale, come interpretare l’intervento dello Stato in economia – siamo d’accordo con quel che sta nell’attuale manifesto dei valori che lo Stato non debba interferire nell’economia? Lo dice anche Giorgia Meloni! Di fronte a queste reali discriminanti sarebbe utile avere una maggiore linearità invece di mantenere un’apparenza di unità.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.