Il futuro dei dem
Intervista a Massimiliano Smeriglio: “La sinistra è preda del giustizialismo, va rifondata”
Il Pd tra il “Qatargate” e il dibattito congressuale. Il Riformista ne discute con Massimiliano Smeriglio, europarlamentare del Partito democratico, già Vice presidente della Regione Lazio.
“Qatargate”, questione politica o problema morale. E che cosa dovrebbe insegnare al Pd?
La questione morale posta da Berlinguer era questione tutta politica che aveva a che fare con la qualità della democrazia italiana soffocata dalla occupazione sistematica dei gangli dello Stato da parte dei partiti. E anche quella attuale è questione politica che rimanda al funzionamento della democrazia europea assediata da interessi particolari, più o meno leciti, mal regolamentati. La spesa per attività di lobbyng in questi anni di pandemia e guerra è aumentata a dismisura, toccando la cifra di 1,5 miliardi anno. Il Pd deve rimandare a memoria che lo sviluppo non è neutro, che il neoliberismo agisce per piegare le istituzioni comunitarie al proprio volere, esattamente come gli Stati autoritari del golfo. E che ci vuole più politica, più visione, più ambizione e più regole per difendere l’indipendenza e la sovranità popolare continentale.
La destra, e non solo, è partita lancia in resta per attaccare le Ong sia nella vicenda Panzeri che in quella che ha investito Aboubakar Soumahoro.
La destra sbaglia bersaglio, non c’entrano nulla le Ong che ogni giorno riscattano l’onore d’Europa nel mediterraneo o sulla rotta balcanica. Se, nel caso del Qatar, le accuse dovessero essere confermate, parliamo di un danno che si riverserebbe sulle Ong, non certo di una loro generica responsabilità. Il caso di Abou è invece lunare, non c’entrano le Ong, non c’entra Abou e non ho ben capito chi centri. E la figura peggiore sulla vicenda non l’ha fatta la destra bensì la sinistra: morsa dal virus del populismo giustizialista ha dato in pasto all’opinione pubblica questa storia. Poi la stampa mainstream e la destra hanno fatto il resto. In fondo cosa c’è di meglio che lapidare un “profeta”, un “moralista”, uno “supponente”, per giunta nero? Uno che osa parlare di diritto all’eleganza, cosa sbagliata ovviamente, ma che gran parte della classe dirigente pratica con dovizia di particolari senza dargli connotazione di diritto ma di acquisizione proprietaria, esclusiva, padronale. Una storia, quella di Abou, su cui dovremmo tornare perché infila tutti gli anelli della nostra cattiva coscienza: sfumature razziali, conformismo, paternalismo, elitarismo forcaiolo perché stavolta si può menare in testa senza che il telefono di famiglia squilli. Un problema di agende, relazioni, mondi che non si toccano.
Di fronte alle difficoltà e i sondaggi impietosi, c’è chi, nel gruppo dirigente dem, ritiene indispensabile anticipare le primarie. Il vecchio che uccide il nuovo?
Non saprei dire chi è il vecchio e chi il nuovo. Pochi giorni fa con Bettini abbiamo organizzato un seminario in cui un grandissimo vecchio, Mario Tronti, ci ricordava che contrapporre i bisogni ai valori è un errore drammatico. Mi piacerebbe una discussione vera su cosa deve essere la sinistra in Italia. Non ho ancora capito se il Pd è un partito socialista, liberale, liberista, pacifista, guerrafondaio, europeista o atlantista. Una cosa è certa, con il 15% dei consensi non si può essere tutte queste cose insieme. La democrazia italiana e la sinistra si sono rette su una idea brillante di Togliatti, il patto tra i produttori (grande fabbrica, grande sindacati, grandi partiti), e ben tre compromessi storici. Quello del 1945, quello post golpe in Cile e quello ulivista. Questa storia è finita, si è esaurita. Non basta più Togliatti per comprendere la modificazione della composizione di classe e produttiva del nostro Paese fatta da piccola e piccolissima impresa. E a forza di invenzioni politiciste, delle culture cattoliche e della sinistra, soffocate dal governismo e dalle compatibilità tecnocratica, nel gruppo dirigente del Pd, resta ben poco di storico. Forse il congresso dovrebbe occuparsi di questo.
Calenda e Renzi da una parte, Conte dall’altra. Una doppia opa sul Pd. Lei come la vede?
Che è tempo di rifondare la sinistra, il proprio modo di stare nelle società italiana, uscire da meccanismi autoreferenziali, innovare. Reddito di cittadinanza, salario minimo, welfare, scuola pubblica, autonomie locali, femminismo, europeismo, pacifismo. Per stare alle prime parole da mettere a tema. Senza inseguire nessuno. Senza l’assillo delle alleanze. Saranno anni di opposizione, meglio nelle strade che nel palazzo. E il campo largo non può essere la formuletta per mettere insieme le debolezze degli anti sovranisti, piuttosto facciamolo con gli intellettuali, gli operai della logistica, i programmatori, le lavoratrici delle pulizie, i facchini, i ricercatori precari, i prof, i riders, gli attori, gli studenti e gli infermieri. Magari qualcosa di buono succede.
Nel Lazio Conte ha annunciato la candidatura per il M5s di Donatella Bianchi. Divisi per perdere?
Sono stato vice presidente del Lazio e ho lavorato a rendere stabile il rapporto con il M5S. Un patrimonio importante per il campo progressista che purtroppo arriverà frammentato all’appuntamento elettorale. Con questa legge elettorale la nostra divisione favorisce enormemente la destra. Una divisione che pagheranno i cittadini del Lazio sacrificati sugli altari della competizione dentro il campo progressista. Un errore politico grave perché rischiamo di regalare una regione così importante al partito della Meloni. La fase del governo Draghi è archiviata, con tutto il suo carico di errori e divisioni. Bisognerebbe trovare il coraggio di guardare avanti e nel futuro i dem, i 5Stelle e la sinistra ecologista saranno obbligati a trovare il modo di convivere in una nuova coalizione. Cominciare dal Lazio sarebbe stato il primo passo in questa direzione.
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