«La grave responsabilità di quanto sta accadendo è tutta del Parlamento italiano che non ha ancora fornito risposta ai due richiami della Corte Costituzionale». Marco Cappato e Mina Welby, tesoriere e vice-presidente dell’associazione Luca Coscioni, prendono atto «con rispetto» della decisione della procura di Massa. Ieri è arrivato il ricorso in appello contro la sentenza di assoluzione in primo grado, dove la coppia era accusata di istigazione e aiuto al suicidio per la morte di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla e morto in Svizzera nel 2017. Rispetto, ma ferma determinazione nel portare avanti una battaglia civile per introdurre in Italia una legge sul suicidio assistito, combattendo un clima culturale che rema contro, con il coinvolgimento di parte del mondo cattolico. «Il ricorso – fanno notare i due in una nota- arriva pochi giorni dopo la lettera “Samaritanus bonus”, in cui la Santa Sede ha definito un “crimine” l’aiuto a morire e ha bollato come “complici” coloro partecipano a tale aiuto, materialmente o attraverso l’approvazione di leggi. La decisione della procura conferma la gravità dell’incertezza giuridica e delle minaccia che incombe sui malati terminali italiani che vogliano sottrarsi a condizioni di sofferenza insopportabile».

Nessun passo indietro, insomma, perché come spiegano «rifaremmo quanto abbiamo fatto per aiutare Davide, e siamo pronti a rifarlo con altri malati nelle stesse condizioni quando sarà necessario, anche se il prezzo da pagare dovesse un giorno essere quello di finire in carcere». A settembre 2019 la Corte Costituzionale era intervenuta sul caso Cappato-Dj Fabo, escludendo la colpevolezza del primo e riconoscendo il diritto al suicidio medicalmente assistito attraverso il Sistema sanitario nazionale italiano per le persone capaci di intendere e volere, affette da patologie irreversibili con gravissime sofferenze e dipendenti da trattamenti salvavita. Per questo aveva chiesto un intervento specifico delle Camere con una legge ad hoc, mai arrivata, anche dopo il richiamo aggiuntivo per mancato intervento.

Lo scorso 27 luglio, poi, i giudici della Corte di Assise di Massa avevano assolto Cappato e Welby perchè “il fatto non sussiste” e “non costituisce reato”. Motivazione principale della sentenza era che il requisito dei “trattamenti di sostegno vitale”, indicato dalla Consulta non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza “da una macchina” (assente nel caso Trentini, a differenza di quello di Dj Fabo), ma qualsiasi tipo di trattamento sanitario, realizzato con terapie farmaceutiche, assistenza di personale medico o con macchinari, compresi la nutrizione e l’idratazione artificiali. Ma in assenza di una legge che stabilisca in modo preciso le modalità con cui attuare il diritto riconosciuto dalla Corte Costituzionale, non c’è alcuna certezza, per questo la Procura è potuta ricorrere in appello. Il pm Marco Mansi, ora, probabilmente confermerà la richiesta di 3 anni e 4 mesi di reclusione. «Il reato di aiuto al suicidio sussiste – aveva spiegato in aula- ma credo ai nobili intenti (dei due imputati n.d.r.). È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini, a cui mancano i presupposti che lo rendano lecito». Insomma: per il magistrato sì ad attenuanti che «in coscienza non mi sento di negare», ma l’illecito rimane.

In tutto ciò la politica che dice? Sul tema manca un accordo in maggioranza, seppur esistono proposte di legge in materia di eutanasia a prima firma di parlamentari grillini e di centro-sinistra. Ne esiste anche una della Lega in realtà, che impone condizioni stringenti per accettare il suicidio assistito. Le forze politiche si metteranno d’accordo o cederanno a un oramai insensato bigottismo? Intanto decine di persone muoiono ancora senza tutele.