Il “pulpito”, spiega il dizionario, è il luogo destinato alla predicazione in chiesa, nell’antica Roma al magistrato. In quale momento esatto, si chiede l’elettorato medio Pd è successo che Giuseppe Conte ha preso possesso del pulpito per elargire lezioni e porre condizioni e ultimatum? In quale momento colui che doveva essere il gregario di una squadra già in campo e allenata, è diventato coach? Addirittura maestro di coerenza, legalità ed efficienza?

Per chi ha avuto occhi e retrovisore, è un momento lungo ormai sei anni, da quando nel giugno 2018 “l’avvocato del popolo” arrivato da Volturara Appula, cuore della Puglia, con una tappa a Firenze dove già allora mostrò l’ambizione di “conquistare la città”, giurò da premier. Da allora al pulpito di oggi, quello in cui cerca di sfrattare Elly Schlein dalla leadership dell’area Pd e di offrire una via d’uscita, dopo averlo umiliato proprio sul terreno della legalità, al compagno di giunta Michele Emiliano, il percorso di Conte è ricco di incongruenze, contraddizioni, cadute e risalite. Occorre metterle in fila, per dovere di cronaca, mica di altro.

Da quale pulpito…

Conte e i 5 Stelle hanno governato quindici mesi con la Lega. Era il governo gialloverde che “chiuse” i porti italiani alle navi che facevano soccorso in mare ai migranti. Uno dei provvedimenti più odiosi sotto il profilo umano e della carità. Eppure lo firmò proprio Giuseppe Conte che oggi dà lezioni di morale. Quel governo andò sul balcone di palazzo Chigi, un altro pulpito, e sentenziò che era stata abolita la povertà grazie all’introduzione del reddito di cittadinanza.

Il papà del reddito

La povertà è purtroppo una cosa troppo seria, non si combatte con una tesserina gialla e infatti è aumentata. Non contento, nel 2022 Conte fece la campagna elettorale promettendo “più reddito per tutti”. Memorabili certe giornate al sud in cui il suo arrivo in piazza era salutato “arriva o papà del reddito”. Sapeva benissimo che non avrebbe potuto mantenere la promessa eppure la usò, della serie “votatemi e poi ci penso io”. Il reddito non c’è più – era sbagliato il mezzo non l’obiettivo – e Conte continua a promettere. Tanto non costa nulla in un Paese con la memoria corta. Però non è serio e neppure eticamente corretto. Un po’ come quando ha promesso “case gratis per tutti” quando era già chiaro (estate 2022) che il 110% era un colabrodo da inibire seduta stante.

Le inchieste con Raggi e Appendino

Il pulpito è un luogo comodo finchè stai con i piedi lontani dalla terra tentatrice e subdola, come è la vita. Neppure Conte è esente.
Nelle due grandi città dove i 5 Stelle hanno governato sono finiti anche loro nelle carte della magistratura. Nella Capitale resta, tra le più eclatanti, la condanna in primo grado (9 anni) per l’ex presidente del consiglio comunale della giunta Raggi: si chiama Marcello De Vito e a proposito del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle diceva di voler “sfruttare la congiuntura astrale”. A Torino l’ex sindaco Chiara Appendino, ora deputata, ha una condanna a un anno e 6 mesi per disastro, lesioni e omicidio colposo (la tragedia in Piazza San Carlo). E’ in attesa della Cassazione nel processo “Ream” (falso in bilancio). In Parlamento, tra i banchi 5 Stelle, siede anche Riccardo Tucci e per lui è stato chiesto il rinvio a giudizio per frode fiscale. Tutti innocenti fino a sentenza definitiva, stabilisce la Costituzione. Sacrosanto. Per Conte vale solo in casa propria, però.

Anche a Bari e in Puglia succede la stessa cosa: nel 2020 cinque 5 Stelle fanno partire la seconda giunta Emiliano quando i sospetti di pacchetti di voti che passano da una parte all’altra, in dote al vincitore, con il mezzo di solerti liste civiche, erano noti a tutti. Anche ai 5 Stelle. Se quel sistema è oggi sotto accusa – ma non ancora condannato – perché Conte lo ha tollerato per ben quattro anni? Svuotare Elly Schlein e ridurre Emiliano ad un suo gregario è solo l’ultima recita del trasformista Conte. La scorsa legislatura, quella in cui ha fatto il premier due volte, circa duecento eletti su 320, cambiarono casacca.
Il pulpito affascina, ipnotizza, toglie la memoria. Infatti non li usano più neppure i sacerdoti.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.