Ho avuto la fortuna di svolgere un dottorato di ricerca in Diritto internazionale alla Federico II di Napoli negli anni in cui il professor Benedetto Conforti era rientrato in città, avendo concluso il mandato di giudice presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, e ho avuto il privilegio di essere uno dei suoi ultimi allievi. Dopo la pensione, cominciò a dismettere la sua biblioteca giuridica, conservando soltanto i libri sui diritti dell’uomo.
Poco prima che lasciasse Strasburgo, la Corte europea decise il ricorso promosso dal giornalista Giancarlo Perna per violazione dei diritti al giusto processo e alla libera espressione del pensiero, per averlo l’Italia, attraverso i suoi giudici, condannato per diffamazione del magistrato Giancarlo Caselli. La Grande Camera diede ragione all’Italia, non ravvisando le violazioni lamentate dal giornalista. Un’opinione dissidente si levò: quella di Conforti. Il professore metteva in evidenza come, nel processo per diffamazione intentato da Caselli contro Perna, il giudizio, nei tre gradi, si fosse chiuso in tempi record. Quella velocità suonava sospetta in un Paese che accumulava condanne per ritardi nelle decisioni giudiziarie. Non solo, quella velocità si era consumata attraverso una compressione frettolosa del diritto alla prova del giornalista.

L’opinione afferma (traduco liberamente dal testo originale in inglese): «Nel processo a carico di un giornalista per diffamazione di un organo giudiziario inquirente, la condotta dei tribunali interni, intenzionale o meno, dà la chiara impressione di un’intimidazione che non può essere tollerata alla luce della giurisprudenza della Corte sulle restrizioni alla libertà di stampa». E ancora: «È sorprendente quante azioni siano intentate da magistrati contro giornalisti in Italia e quanto congrui siano gli importi liquidati dai tribunali italiani per danni». Infine: «Poiché la libertà di stampa è la mia sola preoccupazione, mi duole avere espresso la mia opinione in questo caso che riguarda un magistrato per il quale ogni cittadino italiano deve provare ammirazione per aver rischiato la propria vita nella lotta alla mafia».

Nella sua brevità e chiarezza, Conforti dà a tutti noi, soprattutto ai giuristi e ai tantissimi magistrati che hanno studiato sul suo manuale di diritto internazionale, una lezione esemplare: un rischio effettivo e grave di compressione della libertà di stampa discende dalle azioni per diffamazione intentate da magistrati contro giornalisti. Mi si obietterà: e allora i magistrati non possono difendere più la loro immagine, se diffamati? Certamente, possono e devono. Ma è necessaria una misura rigorosissima nell’esercizio della facoltà di sporgere denunce per diffamazione, sia perché la magistratura deve sapere affrontare le domande che le si rivolgono sul proprio operato, sia perché essa – e questo è un altro insegnamento di Conforti – è, o dovrebbe essere, il vero baluardo per la difesa dei diritti dell’individuo in uno Stato di diritto.

Ciò detto, qualche notazione personale. Non conosco Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, se non da quanto scrive e dice in televisione. Quello che so è che Il Riformista, e Il Riformista Napoli sul quale scrivo da gennaio 2020, è una voce di libertà. A volte reputo eccessiva – e controproducente – la sua foga contro la magistratura italiana. Mi piacerebbe che prendesse – che so – di mira anche i poteri immensi (e molto più nascosti) di tanti anfratti delle pubbliche amministrazioni e delle società collegate al settore pubblico (i cui funzionari spesso ricevono compensi assai più lauti del magistrato). Ma è una voce di libertà e sa articolarsi in una complessità di linee anche molto diverse: ho scritto un articolo sulla omogenitorialità che nessun’altra testata oggi avrebbe pubblicato.

Mi sono dimesso dall’Associazione nazionale magistrati e ho potuto ricevere un’intervista seria e rigorosa, senza inutili strumentalizzazioni. E poi, quel che mi preme di più: continua a mettere il dito nella piaga. La piaga purulenta e vergognosa dello stato delle carceri italiane. La piaga – strutturale e che pesa come colpa collettiva sulla struttura giudiziaria nel suo complesso – della giustizia civile lenta, ma soprattutto della giustizia penale che arriva troppo tardi ad assolvere persone duramente colpite da indagini e misure cautelari (che in sé non possono non avere un fisiologico margine di errore, ma il punto non è questo).

La piaga della crisi che il caso Palamara ha aperto nella magistratura: solo leggendo Il Riformista, e poco altro su carta stampata, da magistrato che vorrebbe capire di più, riesco ad appurare certe informazioni (spetta a me, lettore, elaborarle e criticarle) sull’uso del trojan nell’indagine a carico di Palamara. Il mio augurio è che Il Riformista abbia ancora lunga vita, che il direttore Sansonetti non si lasci prostrare e che la magistratura, tra i tanti bagni di verità che è chiamata improrogabilmente a praticare, riesca anche ad affrontare il tema querela di magistrati/libertà di stampa secondo le linee magistralmente delineate da Benedetto Conforti. Con lui ribadisco che «freedom of the press is my only concern».