Caro direttore,
mi sono chiesto come mai nei giorni scorsi il sempre loquacissimo Giuseppe Conte sia stato insolitamente parco di dichiarazioni, quasi taciturno, sul sequestro di Cecilia Sala. Non lo ritiene degno di attenzione? Da buon “progressista indipendente”, non intende dare spago a Elly Schlein e all’odiatissimo Matteo Renzi? Per una conclamata difficoltà a condannare con forza i regimi totalitari, da quello di Putin a quello di Khamenei? Perché, infine, il suo giornale di riferimento attribuisce agli americani (con l’arresto “ingiustificato” di Mohammad Abedini) la responsabilità del “pasticcio di Teheran”? Sono solo congetture, beninteso, e quindi non ho certezze da spendere.

L’abbaglio di D’Alema, Bersani e Bettini

Così come non sono in grado di dare una risposta sicura nemmeno a un’altra domanda che mi tormenta da diverso tempo. Non riesco ancora a spiegarmi, infatti, l’abbaglio preso dai Bersani, Zingaretti, D’Alema, Bettini, per un personaggio che, dopo il suo esordio sulla scena pubblica con un curriculum taroccato, è stato definito da Beppe Grillo “senza visione politica e capacità d’innovazione”. Un personaggio che è, insieme, tesi, antitesi e sintesi. Di destra, di centro e di sinistra. Filocinese, filoamericano e filorusso. Concavo e convesso, ex avvocato del popolo e di clienti facoltosi. Un personaggio che da premier ha aumentato la spesa militare, per poi predicare la buona novella pacifista.

Conte tesi, antitesi e sintesi

Tutto e il contrario di tutto, insomma. Un personaggio che ricorda una celebre battuta di Groucho Marx: “Signori, questi sono i miei princìpi. E, se non vi stanno bene, ne ho degli altri”. C’è chi si stupisce che sia ancora sulla cresta dell’onda. Lo è proprio perché, come annotava già nel 1764 lo storico francese Pierre-Jean Grosley dopo un soggiorno nella nostra penisola, “L’Italie est le pays où le mot ‘furbo’ est éloge”.

Indegno erede del re dei travestimenti Leopoldo Fregoli (che era un artista straordinario), le “trasformiste apulien” ricorda il generico, che passa da un film all’altro senza nemmeno cambiarsi la truccatura, ritratto da Ennio Flaiano: “È un saggio a Tebe, un arconte ad Atene, un consigliere alla corte dei faraoni, un sacerdote a Babilonia. A Creta è un guardiano del labirinto, nell’Olimpo è Saturno, in Galilea un apostolo. Mi chiede un piccolo prestito. – Non stai lavorando? -, gli domando. Allarga le braccia, desolato: – Dovrei fare un senatore, ma a settembre! -” (“Europeo”, luglio 1958). Il nostro senatore poi lo è diventato, e oggi impartisce grottesche lezioni di moralità politica. Sic transit gloria mundi.