Prendo spunto da quanto avvenuto pochi giorni fa all’interno del Tribunale di Napoli, al 18esimo piano della Torre A (sezione locazioni) dove abbiamo assistito a un atto di estrema responsabilità e generosità da parte di un Uomo e Magistrato con le iniziali maiuscole. Il giudice Caccese, con abnegazione e altruismo, ha celebrato la sua udienza isolato in una tuta epidemica, non avendo oggi difese immunitarie sufficienti: nello scorso mese di marzo ha contratto il Covid-19 e, nelle settimane successive, ha lottato contro questo maledetto virus. Per un mese è stato persino ricoverato in condizioni gravi nell’ospedale Cotugno.

Oltre alla personale riconoscenza e all’ammirazione per il fulgido esempio, mi chiedo: solo con questi atti eroici possiamo assicurare risposte alle domande di giustizia dei cittadini lesi nei diritti costituzionalmente garantiti? La risposta, purtroppo, è implacabile e drammatica. La fotografia dei nostri Palazzi di Giustizia è sotto gli occhi di tutti: strutture inadeguate, uffici inospitali e insalubri, luoghi di lavoro non rispondenti alla dignità di quanti vi operano o li frequentano come utenti. L’emblema di ciò è il “nuovo” (si fa per dire) Palazzo di Giustizia del Centro Direzionale di Napoli, edificio composto da tre torri di altezza oltre i cento metri.

Si tratta dell’unico esempio in Europa di ufficio giudiziario sviluppato in verticale che presenta numerosi e gravi problemi di funzionalità: un sovraccarico delle strutture portanti, in particolare negli uffici della sezione Gip-Gup; il malfunzionamento e l’inadeguatezza degli ascensori, necessari per spostarsi nei 25 piani delle torri; la scarsa salubrità degli ambienti; gli archivi insufficienti e fatiscenti; condizioni di luce naturali inadeguate soprattutto per gli uffici del Tiap (Trattamento Informatico degli Atti Processuali), ma anche nelle aule penali, dove non filtra luce perché i vetri sono sporchi e incrostati. Ma soprattutto manca un riciclo di aria pulita nell’intera struttura e ci sarebbe bisogno, in particolar modo nelle aule penali, dell’apertura di alcuni lucernari. Per non parlare delle notevoli infiltrazioni d’acqua per caduta di pioggia in Piazza Coperta, all’interno del Palazzo dove sono ubicati vari uffici, che viene raccolta in contenitori di emergenza. Purtroppo la pandemia, che oggi è fuori controllo, ha messo in ginocchio e paralizzato definitivamente l’attività giudiziaria, mettendo a nudo l’assenza di misure di sicurezza per la tutela della salute di coloro che frequentano le aule giudiziarie.

Continuo a ricevere messaggi da colleghi, magistrati e amministrativi che mi avvertono di essere risultati positivi al Covid-19, sebbene asintomatici. Il tracciamento dei contatti oggi è diventato un’utopia. Eppure, quanto sta accadendo era ampiamente previsto o prevedibile: cinque mesi sono stati sprecati senza alcuna azione preventiva per la riorganizzazione della giustizia, come del resto per sanità, trasporti e istruzione. Tutto ciò con il lockdown che incombe e che metterà definitivamente in tilt il sistema giudiziario. L’unico sentimento che riesco a esprimere in questo momento è la rabbia per le inascoltate grida di pericolo da parte non solo degli avvocati, ma anche dei giudici e del personale amministrativo che vivono ancora più di tutti un grave pericolo per la propria incolumità. E ritengo che non faremo neppure in tempo ad arrivare all’ultima spiaggia, quella di un massiccio investimento economico nella giustizia, attingendo risorse dal Recovery Fund. Perciò si riesce ad amministrare la giustizia solo grazie a gesti eroici come quelli del giudice Caccese.