Secondo una visione antica che Hegel santifica, il progresso (finché si è creduto alla sua egemonia sulla storia) si sarebbe mosso sul percorso del sole: da Oriente a Occidente. E, in tempi non lontanissimi dal punto di vista cronologico, ma remoti da quello “mentale”, si è pensato lo stesso della Rivoluzione. Il coronavirus mette in crisi definitivamente questo “luogo” illustre della nostra tradizione culturale? La risposta più immediata a questa domanda sembrerebbe quella affermativa. Anzi, il virus potrebbe addirittura apparire come il simbolo più doloroso dell’inversione di tendenza che vede nell’Oriente l’acceleratore del definitivo “tramonto dell’Occidente”.

Ma è proprio così? Sono ormai numerosi gli interventi di molti intellettuali che, pur consapevoli della catastrofe (sono pochi quelli che continuano a considerarla solo una finzione per l’incrudimento della moderna biopolitica, riduttrice della potenziale ricchezza di vita in “nuda vita” da immunizzare), cercano di non cadere nel vicolo cieco del catastrofismo, tentando di mostrare quello che potrebbe essere il lato positivo di questa emergenza, convertibile sia in un futuro miglioramento delle relazioni umane messe ora a dura prova a livello planetario, sia in una evoluzione istituzionale finalizzata a una maggiore interazione con la cittadinanza in vista di una possibile, emancipativa costituzione mondiale.

Di fatto vediamo che, lungi dall’aver approfittato dei segnali epidemici, i governi si sono fatti trascinare con riluttanza (con l’eccezione, forse, di quelli a basso tasso di democrazia) all’adozione delle misure restrittive della libertà personale. Misure sempre pericolose – allorché si finge (o decide) lo “tato d’eccezione” – per i principî fondamentali delle nostre democrazia. Principî che necessitano, tutti, un rafforzamento, oltre che un ripristino, una volta passata l’emergenza.

Ma, forse, in questa calamità, vediamo anche qualche altra cosa: il passaggio repentino, anche se non appariscente, da una società assetata di sempre più ampi e articolati diritti personali (diritti interessati più alle differenze particolari che non all’eguaglianza generale) a una società in cui, in primo piano, emergono i doveri e il loro adempimento. Primo fra tutti il dovere assolto da tutti coloro che per professione e ruolo sociali stanno nella trincea più avanzata e pericolosa della lotta al virus, e cioè tutti coloro che fanno funzionare il Servizio sanitario nazionale; ma poi anche il dovere adempiuto da tutti coloro che, pur se in diverse condizioni, continuano ad assicurare servizi fondamentali, come l’istruzione ai suoi diversi livelli.

O doveri come la chiusura del proprio esercizio commerciale, l’azzeramento remunerativo delle proprie attività, il compito di presidiare i centri abitati scontando i contatti più disparati, nonché quello di tutti i lavoratori che ci permettono ancora di usufruire di quanto necessario alla soddisfazione dei bisogni fondamentali, compreso il buon funzionamento delle utenze domestiche.

Non mi soffermo naturalmente sul dovere più diffuso e universale: quello di stare in casa, di non avere contatti ravvicinati, di rinunciare ad abitudini fondamentali per l’equilibrio di ciascuno; e ciò, non solo per il bene proprio e dei proprî cari, ma per il ‘prossimo’ in genere, anche sconosciuto. Certo, da un punto di vista strettamente “sistematico”, ogni giurista potrà venirci a dire che diritti e doveri sono le due facce di una stessa medaglia; ma, se questo è vero dal punto di vista di una teoria generale del diritto, non è altrettanto vero da quello della percezione individuale e sociale della differenza tra gli uni e gli altri.

Certo, alcuni mal sopportano il giogo di questa doverosità più pervasiva, e altri lo fanno solo con rassegnazione, aspettando la fine dell’epidemia; ma molti, forse i più, fanno il proprio dovere con l’assoluta convinzione di doverlo fare, avendo come unica remunerazione il suo stesso compimento e sapendo di condividere un compito che ci responsabilizza tutti verso un unico obiettivo. Se questo “sentimento” non fosse effimero e aprisse uno spiraglio in vista di una società consapevole e rispettosa dei doveri di tutti e di ciascuno, l’Oriente, ancora una volta, avrebbe assolto al suo compito aurorale.