Le Ragioni di Israele
Il vizio Palestinese di riscrivere la storia e, se serve, cancellarla

Quando nel 1964 il KGB scelse Yasser Arafat come nuovo leader degli arabi residenti in Palestina, non costituì un ostacolo il fatto che egli fosse, in realtà, egiziano. Fu quella la prima di una lunga serie di mistificazioni storiche. In quell’occasione, gli arabi che abitavano quella che un tempo era la Siria meridionale iniziarono a essere definiti “palestinesi”, appropriandosi di un termine che, fino alla nascita dello Stato di Israele, era comunemente utilizzato per riferirsi agli ebrei. Gli arabi, al contrario, venivano semplicemente chiamati tali.
Il passato riscritto
Dopo il 1964, i “palestinesi” hanno cominciato ad attribuirsi elementi fondamentali della storia e della religione ebraica, riscrivendo il passato. Non erano mai stati un popolo riconosciuto come tale, eppure improvvisamente lo diventarono, negando nel contempo che lo fossero mai stati gli ebrei. Luoghi sacri per l’ebraismo — dal Monte del Tempio a Gerusalemme alle Tombe dei Patriarchi a Hebron, solo per citarne due — hanno cambiato denominazione in seguito a una controversa decisione dell’Unesco del 2016, che ha di fatto legittimato l’appropriazione simbolica da parte palestinese di siti mai appartenuti alla loro tradizione.
Persino Gesù
La tragedia degli ebrei cacciati dai Paesi arabi è stata oscurata e sovrapposta dalla narrazione della “nakba” palestinese. Persino Gesù, nato, vissuto e morto come ebreo, è stato ridefinito come “palestinese”. L’appropriazione più recente, e forse più offensiva, è quella del termine “genocidio”. I palestinesi, che già ai tempi di Menachem Begin ne avevano cercato un uso strumentale, sembrano oggi decisi a farlo proprio, distorcendo ulteriormente la memoria storica. Nel frattempo, hanno tentato anche di cancellare parti scomode della loro stessa storia, come l’alleanza con il regime nazista, accusando paradossalmente gli israeliani di essere i “nuovi nazisti” del nostro tempo.
© Riproduzione riservata