L'intervista
Immunità parlamentare, Giovanardi: “A finire sotto processo sono le opinioni. Dobbiamo difenderle dallo strapotere dei pm”

Torna al centro del dibattito un tema che, alla luce degli effetti devastanti dell’anti-politica, andrebbe affrontato seriamente: l’autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza per poter processare un deputato o un senatore. Ma per Carlo Giovanardi rischia di essere «un obiettivo fuori portata»: l’ex ministro per i rapporti con il Parlamento, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio e presidente della Giunta per le autorizzazioni, ritiene che la priorità sia difendere l’articolo 68 della Costituzione.
Visto il suo bagaglio istituzionale, che idea si è fatto?
«La memoria aiuta. Nel 1993 (fui uno di quelli che votò a favore di Bettino Craxi), dopo il voto alla Camera che negava l’autorizzazione a procedere nei confronti del leader socialista, il presidente Scalfaro annunciò lo scioglimento del Parlamento una volta approvato il Bilancio. Dopo il clamore suscitato da quel voto, votai a favore dell’abrogazione di quell’istituto, per evitare che un avviso di garanzia per qualsiasi reato si trasformasse in un dibattito parlamentare con relativo linciaggio mediatico di chi l’aveva ricevuto. Meglio aspettare in silenzio, visto che poi – dopo gli avvisi di garanzia – spesso arriva l’archiviazione. E il voto della Camera per evitare l’arresto di Francesco De Lorenzo non servì a nulla, perché il presidente Scalfaro sciolse il Parlamento; Craxi finì in esilio e De Lorenzo subì più di 6 mesi di carcerazione preventiva».
Quindi meglio lasciare tutto in mano alla magistratura?
«Eh no, non dovrebbe essere così. Ma quasi nessuno si è accorto che nel frattempo è stato, di fatto, abrogato anche il primo comma dell’articolo 68 della Costituzione che recita: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Proprio in un caso che mi riguarda – risalente al 2013 – la Corte Costituzionale ha annullato il voto del Senato che certificava che tutta la mia attività in sede parlamentare (per contestare le modalità con cui venivano colpiti dalla Prefettura imprenditori modenesi, tramite le cosiddette interdittive antimafia) era l’espressione di opinioni. Con quella sentenza – contestata in un convegno alla Camera dei deputati dai vertici delle magistrature non penali, da famosi giuristi e avvocati – si è rilevato che il Parlamento è diventato un tacimento».
Ovvero?
«Basta che un pm qualifichi un intervento in Aula o in Commissione come vilipendio o minaccia a un pubblico ufficiale, per far finire sotto processo il deputato o il senatore che ha osato parlare. Per inciso, ricordo che recentemente il Senato ha votato all’unanimità a mio favore perché il processo per direttissima (nel 2017) è stato fondato su un’intercettazione nel mio ufficio di parlamentare, sul cui utilizzo non era stata chiesta l’autorizzazione a Palazzo Madama; di nuovo il processo è sospeso e siamo davanti alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione».
Ma almeno per i ministri e per l’arresto dei parlamentari è l’Aula, con il suo voto, a decidere…
«Peggio che andar di notte. Quando Matteo Salvini fu ministro del governo con i 5 stelle, l’Aula nel 2019 votò contro l’autorizzazione a procedere; cambiata poi la maggioranza (Pd e M5S), il Senato autorizzò il processo per fatti analoghi, che si è concluso solo recentemente con l’assoluzione dell’imputato. Il 2 agosto del 2016 a Palazzo Madama difesi con convinzione – anche come membro della Giunta delle autorizzazioni – il senatore di Reggio Calabria Antonio Caridi, di cui era stato chiesto l’arresto sulla base di accuse a mio parere totalmente inconsistenti. L’Aula purtroppo, convocata in fretta dal presidente Pietro Grasso l’ultimo giorno prima della sospensione estiva, con voto segreto (154 a favore, 110 contrari, 12 astenuti) decise per l’arresto: dopo 18 mesi di custodia cautelare allucinante e durissima (definita come un canile dall’imputato), Caridi è stato assolto ma con alle spalle 5 anni di terribili sofferenze. Il problema non è solo della magistratura, ma anche del fatto che troppi parlamentari – invece che stare con la schiena diritta – o non sanno, o non vogliono sapere o hanno paura anche della loro ombra».
Allora non condivide la proposta di reintrodurre l’autorizzazione a procedere?
«Non soltanto non ci sono le condizioni parlamentari, ma rischia di essere un obiettivo fuori portata. Invece è assolutamente necessario difendere l’articolo 68 della Costituzione in vigore da una decisione del tutto sbagliata della Corte Costituzionale, che deve essere rivista e corretta da una nuova sentenza».
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