Dalle monetine lanciate contro Craxi sono passati ormai 32 anni, ma la vulgata anticasta continua a inquinare la politica. Che ora, con uno scatto d’orgoglio, può spazzare via il tabù dell’immunità parlamentare. L’idea è stata rilanciata da Forza Italia, e oggi la Fondazione Luigi Einaudi alle ore 10 alla Camera torna a chiedere di ripristinare l’articolo 68 della Costituzione. Il presidente Giuseppe Benedetto è determinato a portare avanti la battaglia sul piano culturale.

Si riapre il dibattito sul ritorno dell’immunità parlamentare. Può essere davvero la volta giusta?
«Io non so se può essere la volta buona. Alcune battaglie si fanno perché ci si crede, senza neanche chiedersi quale può essere la ricaduta immediata. A maggior ragione, se si tratta di una battaglia di questo genere, fatta sul piano culturale da una fondazione culturale. Non dobbiamo rispondere agli elettori, ma innanzitutto alla nostra coscienza e alle nostre idee. Per questo oggi presentiamo alla Camera il disegno di legge di riforma dell’attuale articolo 68 della Costituzione. Ricordo che non si tratta dell’immunità nel suo complesso, che tutt’ora esiste, ma di reintrodurre l’istituto dell’autorizzazione a procedere previsto da quasi tutte le costituzioni dei paesi europei».

Ma i parlamentari hanno già l’insindacabilità delle opinioni espresse. Non basta?
«Che non basta lo dimostra la storia di questi 30 anni. In realtà, come ho avuto modo di scrivere nel mio libro “L’Eutanasia della Democrazia”, dell’articolo 68 ne è stato fatto strame, nella legislatura pre-1992, quando è stato concesso un numero esorbitante di dinieghi (cioè quando sono state negate le autorizzazioni) senza alcun motivo. Questo non vuol dire che si deve gettare il bambino con l’acqua sporca. L’articolo 68 Cost., i nostri costituenti lo hanno voluto non per consentire il giochino ai parlamentari di tutelare amici e colleghi di partito, ma perché effettivamente vi era e v’è tutt’ora la necessità di un riequilibrio tra i poteri dello Stato».

Si potrebbe pensare a una norma del tutto nuova?
«La Fondazione Einaudi ha deciso di riproporre l’articolo 68 originario. Spieghiamo, in un’ampia relazione che accompagna il disegno di legge, il perché. Detto questo, possono esserci dei miglioramenti da apportare nel confronto parlamentare tra le forze politiche. Noi abbiamo voluto ribadire il principio senza entrare in queste possibili modifiche. Lasciamo alla capacità dei parlamentari eventuali miglioramenti di questa nostra proposta».

Nei fatti verrebbe spazzato via un vero e proprio tabù, che in questi anni ha inquinato la politica e ha descritto i partiti come appestati.
«Questo è uno dei motivi principali per cui proponiamo la riforma. Ci inseriamo in un filone di difesa del Parlamento che, per quanto ci riguarda, parte dalla contrarietà – che i lettori ricorderanno – al taglio dei parlamentari. Noi siamo stati i principali oppositori di quella sciagurata norma costituzionale. Tutti i partiti, più o meno come avviene oggi per l’immunità, erano favorevoli al taglio, così come oggi si dichiarano contrari al ripristino dell’articolo 68 come voluto dai padri costituenti. Alle urne quel referendum promosso dalla Fondazione Einaudi ha portato più del 30% degli italiani a comprendere le buone ragioni contrarie a quel taglio. Oggi hai difficoltà a trovare un parlamentare di qualunque schieramento che si dica favorevole al taglio dei parlamentari. E non c’è un euro risparmiato dalle casse dello Stato per quella misura. Ci sono solo i disguidi che ogni giorno rileviamo, perché un Parlamento ridotto da 945 a 600 parlamentari ha difficoltà a funzionare, a partire dall’ordinario funzionamento delle commissioni».

In fondo sarebbe una svolta culturale, un atto di giustizia dopo la stagione di Tangentopoli?
«Non so dirle se sarebbe un atto di giustizia. Sarebbe un doveroso riequilibrio dei poteri, affinché il Parlamento torni a riappropriarsi delle sue prerogative. L’immunità parlamentare non è un privilegio, è una prerogativa dei membri del Parlamento. Dobbiamo fare lo sforzo di non pensare al singolo parlamentare, ma di comprendere come l’istituzione che è stata posta dalla Costituzione in cima al sistema democratico (il Parlamento!), possa essere tutelata e salvaguardata da aggressioni di ogni tipo».

Anche perché le immagini della sera di quel 30 aprile 1993, con tanto di monetine lanciate contro Craxi, sono una ferita ancora aperta…
«Quella è una delle pagine più buie della nostra democrazia. Ho avuto modo di dirlo in più di un’occasione».

Come si può sottrarre il tema alla demagogia per affrontarlo seriamente?
«In ciò consiste lo sforzo culturale che stiamo facendo. Ho letto già le dichiarazioni di alcuni politici che hanno detto: “Guardiamo con interesse quello che propone la Fondazione Einaudi”. Proprio perché il taglio di questa iniziativa è di natura squisitamente cultuale. Noi non intendiamo entrare nello scontro tra forze politiche: continuino a farlo, però abbiano anche il coraggio e la capacità di affrontare temi di questa caratura, cercando di estraniarsi dalla politique politicienne, cioè dalla politica del giorno per giorno».