L'editoriale
Qualcuno metta un freno ai Progetti Liberali inconsistenti. Quattro battaglie che ci renderebbero riconoscibili
Pressoché ogni mese viene lanciato in pompa magna un nuovo progetto liberale, che per comodità da ora in avanti chiameremo PLI (Progetto Liberale Inconsistente) da non confondere ovviamente con il Partito dalla storia gloriosa, capace in passato di rappresentare veramente i liberali italiani.
Il PLI, dicevamo, ci tiene ad essere riconosciuto come “la vera casa dei liberali” e – pur dichiarando di ambire all’unione delle varie sigle che gravitano intorno all’area liberaldemocratica – si diletta a sottolineare la superficialità e le storture dei propri simili. Gli amici liberali, quindi, orfani da troppi anni di una comunità in cui sentirsi rappresentati, facilmente contraggono l’iscrizionite: sale gremite illudono che finalmente i tempi siano maturi per una casa comune, ma l’entusiasmo viene smorzato nel momento in cui ci si accorge che i volti speranzosi in platea appartengono ai soliti 600 che frequentano con encomiabile costanza tutte le convention libdem. Conosco uomini e donne iscritti a 7 PLI diversi. Alcuni di loro ambiscono a cariche e posizioni utili esclusivamente a solleticare l’ego di chi le assume (“Mi fai fare il segretario provinciale? Mi fai fare il segretario regionale? Mi nomini responsabile di questo o di quello?”); altri ancora partecipano con buona volontà indistintamente a tutti gli eventi che di volta in volta si succedono, sperando che “questa sia la volta buona”.
Ahimè l’iscrizionite – nociva ma comprensibile – alimenta la simbolite dei micro-leader che, in cambio di 15 secondi di celebrità, barattano il proprio sostegno a partiti più strutturati appartenenti alla stessa area, con il raccapricciante risultato in fase elettorale di 6 o più simboli apparentati, il più delle volte sconosciuti anche agli stretti familiari del loro titolare. Di peggio c’è solo il “federatore” di turno, pronto ad autoincoronarsi macro-leader dell’area liberaldemocratica che, quasi sempre, proviene da una storia e da una cultura ben distante da quella che si accinge a rappresentare.
In molti in questi mesi mi hanno domandato a quale di questi PLI io volessi dare il mio endorsement. Rivendico la mia scelta di non prendere una decisione e invito piuttosto chi crede ancora a un’alternativa al bipolarismo di tornare a mettere al centro i contenuti che ci accomunano. Rammentiamo il clima che si respirava alla vigilia delle elezioni politiche del ’63, quando i liberali raggiunsero il picco del 7%. Quel risultato elettorale era frutto di una grande battaglia di Giovanni Malagodi contro la nazionalizzazione dell’energia elettrica, e un voto al PLI (attenzione, quello vero!) significava un voto contro le statalizzazioni. Ecco perché reputo essenziale individuare quattro temi identitari che possano renderci riconoscibili agli occhi degli elettori.
I quattro macrotemi
Noi siamo quelli garantisti fino al midollo. Siamo quelli della separazione delle carriere, dei processi più celeri, del diritto penale minimo. Siamo quelli che credono che non sia possibile trasformare ogni notizia di cronaca in un nuovo reato, che non riescono a rimanere impassibili davanti alle vergognose condizioni carcerarie del nostro paese.
Noi siamo quelli che alle politiche dei bonus contrappongono le politiche della concorrenza. Quelli che ai favoritismi alle corporazioni preferiscono il libero mercato, che agli sprechi e ai privilegi preferiscono rigore ed efficienza.
Noi siamo quelli che credono a un ambientalismo pragmatico, che contrappone alle follie del populismo green la forza della scienza e della razionalità. L’energia nucleare non può essere il nemico, ma l’alleato più potente nella lotta al cambiamento climatico.
Noi siamo quelli che non hanno paura a utilizzare il termine “merito”, convinti – come ci ha insegnato Luigi Einaudi – che nella scuola il valore legale del titolo di studio sia un totem da abbattere.
Quattro battaglie che ci renderebbero riconoscibili (e soprattutto credibili) agli occhi degli elettori. Immaginiamo nuovi percorsi – e perché no, nuovi format – attraverso cui approfondire queste tematiche: vedrete che oltre ai soliti 600 amici speranzosi, in platea troveremo nuovi volti e soprattutto intercetteremo nuovi elettori che fino a oggi hanno disertato le urne.
Forse allora, ma solo allora, potremo parlare di un nuovo partito: non più dell’ennesimo Progetto Liberale Inconsistente, ma di un nuovo soggetto capace di raccogliere l’eredità di grandi uomini come Cavour, Giolitti, Einaudi, Malagodi, Spadolini e Pannella, che hanno segnato la storia del nostro paese. Dunque, per favore, risparmiateci almeno per tutto il 2025 (anno che non prevede scadenze elettorali) nuovi partiti liberali.
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