Se non provvede qualche procura della repubblica a scompigliare le vigilie elettorali, come capitato a Bari e in Piemonte, ci pensa la Commissione Parlamentare Antimafia. Così, a dieci giorni dal voto regionale del 21 e 22 aprile in Basilicata, ecco spuntare la lugubre lista degli “impresentabili”. Che non sono, come un ingenuo potrebbe pensare, mascalzoni che picchiano la moglie, ma candidati indagati o imputati in qualche inchiesta penale. E non occorre definirsi “garantisti”, termine che sarebbe bene cominciare ad abolire, ma basta citare l’articolo 27 della Costituzione, per sapere che si tratta di cittadini innocenti. Persone che godono dei diritti civili, e quindi candidabili. E presentabili.

Nel giro che riguarda la regione Basilicata, i cosiddetti “impresentabili” sarebbero cinque, tre collocati nelle liste del centrodestra a due a sinistra. A ciascuno il suo. A ciascuno la sua bella stella gialla da appuntarsi sul petto. Come di solito accade in questi casi, a partire dal 2015, questa sorta di tribunale etico che è diventata nel tempo la Bicamerale Antimafia, presenta la sua bella lista di proscrizione a candidature già definite, alla vigilia del voto. Il sistema dell’informazione provvede poi, soprattutto sul piano locale, quando le elezioni sono amministrative, a fare da megafono alla notizia. Che riguarda i reati, del resto ancora da giudicare, ma soprattutto le persone. E i nomi e cognomi sono sbattuti lì, a disorientare chi deve recarsi alle urne.

I cinque nomi noi non li mettiamo. Diciamo subito che si tratta di persone in gran parte già all’interno di amministrazioni locali o consiglieri regionali uscenti, e che i reati di cui sono imputati, sono quelli in genere legati al mondo della politica: corruzione, atti contrari ai doveri d’ufficio, autoriciclaggio, induzione indebita a dare o promettere utilità, turbativa d’asta. I partiti hanno ritenuto di candidare comunque i cinque “impresentabili”. Non sappiamo se gli elettori li voteranno, ma in ogni caso speriamo che ogni preferenza sia legata alle capacità di ciascuno di loro e non ai bollini blu o al contrario alla stella gialla dell’antimafia. A proposito, che cosa c’entra la mafia? Nessuno è indagato per associazione mafiosa.
Non mancano gli esempi di gaffe anche clamorose del passato. L’esordio fin dal 2015, il primo anno in cui la lista fu presentata dalla presidente della bicamerale Rosy Bindi, il cui moralismo, determinato dalla sua appartenenza alle due chiese, quella cattolica e quella comunista, è una sorta di seconda pelle.

A Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi e in Campania un certo Vincenzo De Luca, che già aveva fatto faville come sindaco di Salerno, scalciava per conquistare la vetta del consiglio regionale. Bene, la presidente dell’antimafia lo bollò subito come “impresentabile”, perché indagato per la vicenda del Sea Park, il parco marino realizzato a Salerno quando lui era sindaco. De Luca fece fuoco e fiamme, definì l’iniziativa della commissione come “infame e eversiva”. Renzi e il Pd lasciarono correre sull’impresentabilità del candidato. Ma la vera notizia è che poi da quell’indagine De Luca, ormai e fino a oggi ancora governatore della Campania, uscì assolto “perché il fatto non sussiste”, cioè con la formula più ampia prevista dal codice penale. Ma sarebbe sbagliato pensare che quell’inciampo dell’antimafia sia servito da lezione per le legislature successive. Assolutamente no. Il successore di Rosy Bindi, l’esponente del Movimento Cinque Stelle Nicola Morra, ha addirittura creato il sistema delle pre-liste, invitando i partiti a inviate alla commissione antimafia in via preventiva gli elenchi dei candidati in modo da sottoporli al controllo del “tribunale etico”. E purtroppo i partiti si adeguarono. Prima delle elezioni che il 3 e 4 ottobre 2021 mandavano al voto gli elettori di una serie di Comuni tra cui quelli delle città di Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli, circa cinquecento candidati furono sottoposti a una vera radiografia moralistica che divenne presto gogna mediatica, perché qualcuno inciampò a causa di qualche indagine a suo carico.

Nel frattempo, i controllori si erano moltiplicati, perché si sa che “la gente dà buoni consigli”. E certa stampa ci va a nozze. Così una persona adamantina come Rita Dalla Chiesa, alla vigilia delle elezioni politiche del 25 settembre 2022, fu insultata con sarcasmo “una berlusconiana contro la mafia”, dal Fatto di Travaglio perché candidata in Forza Italia. E la stessa Chiara Colosimo, oggi presidente della bicamerale antimafia, nei giorni precedenti quella stessa tornata di elezioni politiche, fu definita da qualche giornale come “improponibile”, palese sinonimo di impresentabile, per una sua vecchia foto scattata in una sezione del Msi in cui sullo sfondo veniva riportata una massima, a sfondo religioso, del leader rumeno ultranazionalista Codreanu. Una lezioncina che evidentemente non è servita neppure all’esponente di Fratelli d’Italia. Tanto che la gogna delle liste di proscrizione continua. Ma la neo-presidente dell’antimafia ha fatto di più, in questi giorni, sulla strada dell’attenzione alle vicende giudiziarie. Chiedendo gli atti di inchieste appena aperte in luoghi dove si terranno a breve le elezioni, oltre a quella per il rinnovo del parlamento europeo, come il comune di Bari e la regione Piemonte. E questo dopo che il procuratore generale di Perugia Sergio Sottani aveva bollato come “inusuale” l’audizione davanti alla stessa commissione di Raffaele Cantone, il quale aveva rivelato l’esistenza di un’inchiesta ancora coperta dal segreto investigativo.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.