Una cosa è la questione morale, sacrosanta e necessaria. Un’altra cosa è il suicidio collettivo di un’intera classe politica in nome di una presunta questione morale. Bollettino dal Nazareno al giorno numero cinque dallo tsunami pugliese. Da quando la procura di Bari ha tirato fuori una seconda chiesta per voto di cambio (8 arresti, una settantina di indagati) dopo quella del 26 febbraio (34 arresti) per presunte infiltrazioni mafiose e che ha già portato all’insediamento in comune della Commissione che dovrà valutare l’eventuale scioglimento per mafiosità. Nel frattempo si è aggiunta un’altra inchiesta a Torino, vecchia di nove anni, dove da alcuni accertamenti per infiltrazioni criminali nella gestione dell’autostrada Torino-Bardonecchia è venuta fuori una costola di presunto voto di scambio.

Il “banco” dei favori, anche in questo caso, sarebbe stato tenuto da un senior della Ditta Pd, Salvatore Gallo, 85 anni, detto Sasà. Il figlio Raffaele, capogruppo Pd in regione Piemonte, non coinvolto, ha già ritirato la propria candidatura dalle Europee. Se in piena campagna elettorale, a due mesi dal voto, in pieno marasma liste, fosse capitato tutto questo alla destra, si sarebbero già levate le accuse e i sospetti “giustizia ad orologeria”, inchieste “con il timer” eccetera eccetera. Dal Nazareno nulla di tutto questo. Giammai. La confusione però è tanta. E doppia. Perché un conto è gestire le pessime notizie che arrivano dal fronte giudiziario, cercare di fare pulizia, separare le mele marce da quelle buone che sono sempre la maggioranza. Diverso è, oltre a questo, dover gestire anche quello che doveva essere il principale alleato, Giuseppe Conte che ti spara addosso in nome della questione morale cercando di capitalizzare le tue disgrazie.

La situazione, dunque. Michele Laforgia, l’avvocato penalista candidato di Vendola e di Conte che da due anni lavora per diventare sindaco, ha chiarito anche ieri: “Non c’è possibilità che i candidati possano ritirarsi”. I candidati erano e sono Laforgia, nel frattempo avvocato penalista di una manciata di indagati nella prima inchiesta barese e a conoscenza dal 2021 dell’attività come procacciatore di voti di Sandrino Cataldo ma “costretto al silenzio dal segreto professionale”. E Vito Leccese, ex deputato dei Verdi, da dieci anni capo di gabinetto di Decaro in comune, con il sindaco autore di numerose denunce contro il voto di scambio, il trasformismo e l’affarismo nella pubblica amministrazione. Elly Schlein è andata a Bari e ha confermato la fiducia a Leccese. Su Conte ha finalmente parlato chiaro: “È stato scorretto, ha mancato di rispetto a tutti e vuol far vincere la destra”.

L’avvocato del popolo si è rimesso i panni del Torquemada, va a fare qualche ripasso con Marco Travaglio e poi dispensa lezioni di moralità. Anzi, ultimatum: “Schlein trasformi il Pd prima che il vecchio Pd trasformi lei”. Un pezzo di Pd, chi è stato maggiormente filogrillino, invita a stare calmi: “Sono acuti da campagna elettorale perché le Europee sono l’ultima occasione per Conte e i 5 Stelle di contarsi e posizionarsi in una prossima necessaria coalizione”. Una larga parte di Pd è stufa e, soprattutto, da tempo consapevole che l’unico vero obiettivo di Conte è svuotare il Pd e provare a tornare a palazzo Chigi con i suoi voti. Velleitario.

La questione morale, si diceva, è questione molto seria e mai risolta. Berlinguer parlava di “partiti che non fanno più politica e hanno degenerato”, diventati “macchine di potere e di clientele”; che “non sono più organizzatori del popolo e formazioni che ne promuovono la maturazione civile, ma federazioni di correnti, camarille, ciascuna con dei boss e dei sottoboss”. Quaranta anni fa. Oggi. È cambiato poco. Se possibile, però, è peggiorato perché i partiti non ci sono quasi più, al loro fianco spuntano liste civiche gestite da potenti assai agili nel passare di qua e là a seconda di chi vince (è il caso di Cataldo) e la selezione della classe dirigente è un talent di poche puntate. Il Fatto Quotidiano dedicò nel 2016 – si era già in pieno furore grillino – tre, quattro pagine agli amministratori locali Dem inquisiti: erano 101, più 23 parlamentari. Un po’ come quella di domenica in cui sono state pubblicate le faccette dei “cacicchi e capibastone da fare fuori”. Quasi tutti quelli indicati dal giornale di Travaglio nel 2016 sono poi usciti indenni dalle inchieste.

Nel frattempo vite private messe a dura prova, carriere politiche distrutte. Solo pochi hanno avuto la forza di resistere e andare avanti. L’elenco è lunghissimo e solo per restare agli ultimi dieci anni; Marcello Pittella, ex presidente della Basilicata; Renato Soru, ex governatore, della Sardegna e poi eurodeputato; l’ex sindaco di Bologna Sergio Cofferati, il sindaco di Lodi Simone Uggetti, il governatore campano Vincenzo De Luca, l’allora presidente di Expo e poi sindaco di Milano Giuseppe Sala, l’ex sindaco di Sesto San Giovanni Filippo Penati e quello di Terni Leopoldo Di Girolamo, l’ex presidente della Regione Emilia Romagna Vaco Errani, l’allora assessore del Pd Raffaella Paita. Persone distrutte, carriere interrotte, un’intera classe dirigente boicottata dalle inchieste.

Anche in Parlamento: Stefano Graziano, deputato e allora presidente del Pd campano invitato alle dimissioni ma dopo tre mesi si scoprì che era stato un errore di persona; la ministra Federica Guidi e la sottosegretaria Josefa Idem, Luca Lotti e Salvatore Margiotta, l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. Pochi giorni fa l’assoluzione di Francesco Bonifazi. “Il campo largo non può ballare ogni giorno”, dice il presidente del Pd Stefano Bonaccini. “Conte non si deve permettere”, attacca Giorgio Gori, il sindaco di Bergamo. Conte ha avvisato Schlein. L’avvocato del popolo e la segretaria sono sempre più lontani.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.