«Il fatto non sussiste». Con la più ampia formula assolutoria si chiude nei confronti di Giuseppe De Donno, dopo dieci anni, la maxi inchiesta “Expo 1” della Procura di Milano. La Terza sezione della Corte d’Appello del capoluogo lombardo, presidente Fabio Paparella, ha stabilito questa settimana che l’ex colonnello dei carabinieri, prima al Ros e poi al Sisde come capo di gabinetto dell’allora direttore Mario Mori, non era una «volpe nel pollaio», come scrisse un euforico Marco Travaglio quando si seppe dell’indagine.

De Donno, titolare della società di security GRisk, era accusato di concorso in turbativa d’asta, falso ideologico e truffa aggravata.
Per l’allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo, capo del Dipartimento reati contro la Pa, Antonio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture Lombarde, la società incaricata delle opere per l’Esposizione universale del 2015, avrebbe affidato a GRisk incarichi di consulenza in maniera illegittima. In particolare «un’assegnazione continuativa e costante di incarichi di consulenza senza le procedure di selezione stabilite dalla legge».

All’epoca dei fatti, nel 2010, GRisk era il primo provider italiano della sicurezza privata. La società di De Donno aveva anche un ramo editoriale con il mensile di geopolitica Look Out di geopolitica di cui Mori era il direttore. Su indicazione del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, De Donno era stato quindi nominato membro del Comitato per la legalità e la trasparenza delle procedure regionali di Expo. Le indagini vennero condotte dalla guardia di finanza senza risparmio di mezzi ed energie. Anche se non esisteva ancora il famigerato virus trojan che trasforma il cellulare in un microfono sempre acceso, gli investigatori non si persero d’animo, disponendo intercettazioni telefoniche ed ambientali a tappeto.

I pm, come si venne poi a sapere, puntavano alla super retata che avrebbe fatto saltare Expo 2015, con conseguente danno d’immagine irreparabile per l’Italia. Il procuratore Edmondo Bruti Liberati manifestò forti perplessità sul modo di condurre le indagini, scontrandosi violentemente con il suo aggiunto Robledo. Fra esposti, contro esposti, avocazione di fascicoli, lo scontro finì al Csm. Quello che accadde dopo è noto: Robledo sarà “declassato” e trasferito a Torino come giudice. Bruti Liberati deciderà invece di andare in pensione prima del tempo.

Tornando alla GRisk, secondo il contratto stipulato, avrebbe dovuto svolgere un’attività «d’intelligence preventiva», «monitoraggio progressivo e costante per la prevenzione di patologie devianti», «collegamento con i rappresentanti delle istituzioni locali per la condivisione delle politiche comportamentali». Robledo era convito che ci fosse un tarocco. L’incontro tra De Donno e Rognoni per l’affidamento della consulenza sarebbe avvenuto solo due mesi dopo l’insediamento dell’ex ufficiale dei Ros al Comitato per l’Expo. È in questo momento che «le comunicazioni intercorse tra le parti confermano il proposito di avviare un rapporto di collaborazione professionale», secondo l’accusa. De Donno avrebbe dovuto tutelare trasparenza e legalità nell’ambito delle sue mansioni, mentre invece la truffa che sarebbe stata commessa avrebbe causato una perdita di 560mila euro per le casse della Regione.

La Procura effettuò, allora, ad un sequestro per equivalente, bloccando tutte le entrate di GRisk. Dopo un ricorso respinto al Riesame, la Cassazione diede ragione a De Donno, annullando il provvedimento. Passarono, però, molti mesi prima che la società potesse rientrare in possesso delle somme sequestrate e, non avendo più nulla in cassa, venne messa in liquidazione. Anche la rivista di geopolitica cessò le pubblicazioni. Profetica una intercettazione fra i due ex ufficiali dell’Arma. «Perché qui giorno per giorno alla fine puntano a lui (Formigoni, ndr)», disse De Donno a Mori. Ed infatti il Celeste, travolto dalle inchieste della Procura di Milano, finirà direttamente in prigione. Ad assistere De Donno, l’avvocato di Napoli Giuseppe Saccone.