La ripresa dell’economia italiana che appariva un evento consolidato solo qualche mese fa, oggi diviene più incerta perché minacciata da un brusco e inatteso aumento del livello generale dei prezzi. L’incubo dell’inflazione elevata turba ora i sogni dei Pangloss della politica italiana: un livello così elevato dell’indice dei prezzi non si registrava dall’aprile 1996. In base a rilevazioni ISTAT, a gennaio 2022, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, ha registrato un incremento dell’1,6% su base mensile e del 4,8% su base annua (+1,6% su base mensile).

La spinta inflazionistica è stata in gran parte trainata dal prezzo dei beni energetici, in particolare la componente regolamentata (l’energia elettrica a tariffa, il gas per usi domestici e da riscaldamento) è cresciuta tra dicembre e gennaio da +41,9% a +93,5%, mentre la componente non regolamentata (i carburanti per gli autoveicoli e il gas in bombole) ha registrato un minor incremento passando nello stesso periodo da +22,0% a +23,1%. In Italia, negli ultimi dodici mesi, i prezzi all’importazione dei beni sono aumentati mediamente dell’8,5 %, trainati non solo dall’energia, ma anche dai grassi vegetali e animali (+20 %), metalli (+20-25 %) e chimica di base (+18 %).

La variazione dei prodotti energetici è stata considerevole, e probabilmente sarà destinata a crescere ulteriormente nei prossimi mesi, non solo per le tensioni geopolitiche tra Ucraina e Russia, ma anche per fattori strutturali che caratterizzano il mercato dell’energia. L’impatto sui beni di consumo è già evidente: tra dicembre e gennaio, il prezzo dei beni alimentari lavorati è passato dal +2,0% al +2,4% e i non lavorati da +3,6% a +5,4%, i servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona sono passati da +2,3% a +3,5%. Solo il settore dei trasporti ha registrato un andamento più favorevole (da +3,6% a +1,4%).

Nel complesso dell’Eurozona, il quadro non è migliore con l’inflazione sui base annua che dovrebbe attestarsi intorno a +5,1% a gennaio (stime Eurostat), siamo quindi molto lontani dalla linea rossa di stabilità dei prezzi, fissata intorno al 2% di inflazione su base annua. Un fatto che rende incerta anche la politica monetaria della Banca Centrale Europea, che presto sarà chiamata per statuto a presidiare la frontiera del 2%, attivando inevitabilmente politiche restrittive a scapito delle necessità della ripresa post-pandemica.

L’impatto dell’inflazione sul piano locale è ancora piuttosto contenuto in termini relativi: nelle ultime rilevazioni Istat di dicembre scorso, Napoli, tra le città italiane, ha registrato l’incremento più basso del costo della vita, con una variazione di +3,2% (che comporta una spesa aggiuntiva di 700 euro l’anno, poco più della metà rispetto a Bolzano, che è la città che ha avuto l’incremento del costo della vita più alto, pari al 4%). In relazione sempre al costo della vita, la Campania si colloca al diciannovesimo posto tra le regioni, con 3,5% di inflazione e un incremento annuo di 639 euro a famiglia. Non si tratta, tuttavia, di segnali positivi, l’economia cittadina e quella regionale rivelano che l’impatto della pandemia non è ancora recuperato, con una domanda più contenuta, segno che investimenti delle imprese e consumi delle famiglie tendono a ristagnare. Una ulteriore prova che uno scenario economico inaridito, come quello campano, può essere rianimato solo dall’attuazione del PNRR.

Resta comunque il problema immediato di far fronte al sensibile incremento dei beni energetici, per famiglie e imprese, che pagheranno una “bolletta” aggiuntiva di circa 30 miliardi di euro l’anno, pari a circa l’1,8% del Pil, e il governo Draghi sembra intenzionato ad intervenire, anche se non si conoscono i particolari dell’imminente provvedimento (finora il governo ha stanziato circa 10 miliardi per ridurre le bollette di imprese e famiglie). Gli enti locali già invocano aiuti statali consistenti per evitare di scaricare l’incremento dei costi sui cittadini. Di fronte a questo inatteso aumento dei prezzi dell’energia, il paese ha mostrato tutte le sue fragilità dovute all’assenza totale di una politica diretta ad assicurare l’indipendenza energetica.

Nell’ultimo anno la domanda (pari a 143,5 mln di tonnellate equivalenti di petrolio), è stata soddisfatta per tre quarti dalle importazioni (40% gas naturale, 33% petrolio), e solo per il 20% dalle fonti rinnovabili. Se questi sono i dati, la nostra transizione energetica sarà un percorso lungo e oneroso. L’era della stabilità dei prezzi è ormai al tramonto per cause di carattere strutturale e per tensioni geopolitiche non risolvibili nel breve termine. L’inflazione se non opportunamente sterilizzata dal governo inasprirà le tensioni sociali: secondo stime de Lavoce. Info, se salari e stipendi non subiranno variazioni, le famiglie potrebbero subire una contrazione dei redditi tra i 20 e i 30 miliardi circa, con effetti negativi sulla ripresa dell’economia. Il problema ormai non è più la pandemia, ma l’eredità che ci ha lasciato.