Negli ultimi giorni sta creando scalpore un hashtag diventato virale sui social, #dubaiportapotty. Si tratterebbe di influencer dedite alla coprofagia in cambio di soldi. Questa pratica starebbe spopolando in particolare a Dubai dove ricchi arabi sarebbero disposti a pagare anche 50mila euro. Non è chiaro quanto la notizia sia veritiera o se sia solo frutto di dinamiche web che l’hanno resa virale, certo è che è finita al centro delle notizie, tanto da essere accostata anche ad altre notizie, come quella del suicidio di una donna ugandese.

In rete è diventato virale il drammatico video del suicidio di una donna ugandese che si è lasciata cadere dal nono piano di un edificio a Dubai. Essendo già virale #Dubai e “porta potty”, è bastato pochissimo ad associare il suicidio alla vicenda della coprofagia. Probabilmente è nata così la notizia secondo cui la donna ugandese si sarebbe suicidata a causa del “porta potty”. Ma si tratta di una fake news.

“Sei giorni fa è morta una donna ugandese lanciandosi nel vuoto da un grattacielo di Dubai e subito è partita la correlazione ‘modella suicida’ – ha detto il giornalista Livio Varriale – No, non è così, e non c’è stato bisogno di scomodare fonti e ricerche in rete, ma a leggere il report dei media ugandesi, la donna africana è stata identificata e non è collegata allo scandalo porta potty, bensì a un sospetto di traffico di esseri umani visto che non era associata a nessuna delle organizzazioni che fanno da mediazione tra l’Ufficio Affari Esteri degli Emirati ed il paese africano”.

Ben prima della notizia ufficiale basta fare un rapido giro sui social per identificare il percorso che ha fatto il video del suicidio e della notizia. Innanzitutto il nome della ragazza ugandese non è sempre lo stesso, l’unico dato che sembrerebbe combaciare è l’età: 23 anni. Poi ci sono diverse teorie sulle cause del gesto. Qualcuno scrive che la donna lavorava da anni a Dubai, inviando soldi al fidanzato ancora in Uganda. Alla notizia che il ragazzo si era sposato con un’altra donna lei non avrebbe retto e avrebbe preferito il suicidio.

Ancora alcuni attivisti ugandesi rilanciano la notizia del suicidio per altri motivi ancora che riguardano lo sfruttamento lavorativo a Dubai. Parlano di assenza di diritti e sicurezza, di situazioni lavorative inumane soprattutto in vista dei Mondiali, che vedono la città come un cantiere a cielo aperto per garantire la costruzione degli stadi ospitanti e della città-albergo.

Varriale rilancia una riflessione sul caso del “porta potty”: “Il fenomeno è vero e non è escluso che esista, ma perchè promuoverlo visto che è diffuso da tempo ed in rete sono presenti molti video a tema su siti specializzati? A nessuno, se non pochi curiosi o appassionati sul tema, viene in mente di cercare certe pratiche in Rete ed è per questo che è pericoloso estendere un fenomeno del genere sui social dove i minorenni assistono a scene che alcuni adulti nemmeno vedono nel ciclo della loro vita. Dubai Porta Potty non è altro che un caso creato ad hoc su storie vere che non sono patinate a colpi di 50 mila euro, ma nascondono verità molto più gravi e che coinvolgono anche bambini”.

Per il giornalista la viralità di questo fenomeno è dunque tutta interna alla rete, creata dal continuo parlarne e riparlarne. Secondo alcuni influencer su TikTok ne parlerebbero addirittura i tg ma dopo una ricerca fatta da Varriale su Google News degli EAU non ci sono risultati. E conclude: “Questa tendenza deve essere eliminata dai social e si dovrebbero segnalare gli utenti che ne parlano, montando casi pericolosi per la psiche dei minori”.

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