«Napoli deve tornare alla sua vocazione naturale: una città-porto del Mediterraneo. La collaborazione tra pubblico e privato? Consente alla pubblica amministrazione di attrarre maggiori risorse di investimento e competenze non disponibili al suo interno». Ne è convinto il professor Umberto Ranieri.

Professore, che giudizio ha dei primi cento giorni dell’Amministrazione Manfredi?
«Messi al bando le sparate demagogiche e un deteriore “napoletanismo” mi pare che il sindaco mostri consapevolezza dei problemi e abbia stabilito un rapporto di confronto costruttivo con il Governo. Muovendo in questa direzione si è giunti ad un parziale risultato su come affrontare il debito che pesa sul Comune. Occorre tuttavia essere chiari su un punto: con risorse scarse e una macchina amministrativa non all’altezza dei compiti non si andrebbe molto lontano. Occorre quindi mantenere aperto il confronto con il Governo, definire una forte sintonia con la Regione, avere molto coraggio nell’ammodernamento della macchina amministrativa superando ristrettezze corporative, delineare un programma di riforme e realizzazioni per Napoli».

La città vive un momento cruciale, deve ripartire dopo 10 anni di immobilismo, come bisogna fare?
«Decisivo è mettere a punto un progetto riformatore di medio e lungo periodo. Napoli deve tornare alla sua vocazione naturale: una città-porto del Mediterraneo. Inoltre è ben collegata con Roma e con l’Europa dal sistema dell’Alta Velocità ferroviaria e dall’Interporto nolano. L’asse veloce tra Napoli e Bari potrà consentire un collegamento con la costa ionico-adriatica. Andranno rapidamente conclusi gli interventi per adeguare il porto alle sfide di nuovi traffici. Su queste basi può prendere corpo una coerente strategia di rilancio del ruolo e dello sviluppo economico della città metropolitana. È nella dimensione sovracomunale che andranno affrontate le grandi questioni dell’ambiente, degli alloggi, del lavoro e andrà garantita una equa distribuzione dei servizi realizzando quel “rammendo urbano” di cui scrive Renzo Piano».

Due questioni tuttavia sembrano particolarmente urgenti, le periferie e il centro storico. Cosa ritiene occorra fare?
L’abnorme estensione delle periferie a Napoli è stata l’esito di una caotica sommatoria di interventi pubblici che hanno messo capo ad “alveari di cemento senz’anima”. Occorre lavorare alla loro trasformazione. Occorre cambiarle disseminandole di servizi, scuole, università, biblioteche, centri civici, attività culturali. Per quanto riguarda il centro storico, preservarlo non può voler dire rinunciare a programmi di demolizioni di edilizia priva di qualità per ridare “aria” e spazi e liberarlo da situazioni di penoso degrado. La ripresa del progetto Serena, il recupero dei “bassi”, l’inserimento di sedi universitarie, la riorganizzazione delle strutture destinate allo spettacolo e al tempo libero, il sostegno ad un artigianato di tradizione e a imprese messe in piedi da giovani e da associazioni, contribuirebbero a rivitalizzare il centro storico».

Vede altri progetti da mettere in cantiere?
«La riqualificazione del “fronte del mare”, come hanno fatto da Marsiglia a Beirut, è un altro dei grandi temi urbanistici di Napoli rimasti sulla carta e che andrebbe ripreso. Infine il verde come tessuto connettivo delle varie parti di territorio della città metropolitana. La cintura verde della città di cui parlava Benedetto Gravagnuolo: dal parco di Bagnoli ad ovest al parco del Sebeto ad est attraversando l’arco del parco delle Colline».

Lei e altri colleghi avete sostenuto la necessità di una collaborazione tra pubblico e privato. Perchè è la strategia giusta?
«La collaborazione tra pubblico e privato al fine di finanziare, costruire e gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico credo vada perseguita. Consente alla pubblica amministrazione di attrarre maggiori risorse di investimento e competenze non disponibili al suo interno e sollecita una classe imprenditoriale che spesso ha stentato a investire risorse proprie rimanendo in attesa di sovvenzioni provenienti dal potere centrale».

E le partecipate che si sono rivelate un fallimento?
«Occorre liberarsi dalla idea che i servizi pubblici non siano riformabili. Convinzione dominante nella vicenda comunale cittadina. Una convinzione che ha lasciato che restassero in piedi carrozzoni indebitati fino al collo che fornivano in molti casi servizi da terzo mondo. L’impresa della loro riforma e riorganizzazione non è semplice ma è indispensabile tentarla».

E sui rifiuti?
«Non credo sia possibile continuare pagando fior di quattrini per inviarli all’estero o in altre regioni, accantonando il discorso su tecnologie che potrebbero aiutare a risolvere il problema di una città che ne produce 1200 tonnellate al giorno».

La città vive l’eterna contraddizione tra la Napoli di Gomorra e la Napoli di Alberto Angela ma oggi Napoli che città è davvero?
«Insieme alla città immobile, esiste una città che produce e si rinnova. C’è la Napoli delle università e dei centri di ricerca, di lavoratori professionalizzati. C’è la Napoli della musica, del cinema, del teatro che si è conquistato un posto sulla scena nazionale e internazionale. La memoria dei volti storici è viva, da Totò a Viviani a Troisi, non mancano le sale storiche di una ricerca teatrale che si interseca con la realtà sociale della città. Napoli non è una Gomorra televisiva. Rendere questi mondi protagonisti di una rinnovata esperienza di governo della città di  Napoli. Ecco l’obiettivo che andrebbe perseguito».

Napoli si è sempre “rialzata”, quali sono gli errori da non ripetere affinchè la città si riprenda ancora una volta?
«I problemi di Napoli sono da ricondurre in grande misura alla scarsa capacità propositiva da parte delle classi dirigenti politiche, da una incapacità a individuare le occasioni di modernizzazione e crescita urbana, da una tendenza all’immobilismo. Oggi tuttavia io vedo le condizioni di una svolta».

È ottimista?
«Difficile esserlo. Il Covid ha aggravato la situazione. Penso al dramma di nuclei familiari privi di possibilità di accedere a forme di sostegno economico e tutela sanitaria. Napoli esce stanca da una pandemia che resta ancora aggressiva. Si è tuttavia materializzata una possibilità inaspettata: il piano di riforme e ripresa messo a punto dal governo Draghi che destina al Mezzogiorno il 40% delle risorse stanziate per l’Italia dalla Unione europea. Una possibilità inaspettata che dovrebbe consentire di affrontare alcuni dei problemi che si trascinano irrisolti da decenni. Il Comune deve riconquistare una capacità di progettazione e programmazione. Mi auguro che Gaetano Manfredi lavori in questa direzione. Dovrà difendersi dai calcoli ristretti di partiti e partitini, Dovrà impegnare in questo sforzo che è solo agli inizi le forze migliori della città. Gaetano dispone di esperienza e cultura che fanno ben sperare. Auguri».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.