L’ISPRA è l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, è un ente pubblico di ricerca italiano, sottoposto alla vigilanza del ministero della transizione ecologica. Ogni anno, scevro dagli annunci roboanti di alcuni sindaci sulle percentuali di raccolta differenziata raggiunte, l’istituto decreta i risultati reali conseguiti.
Nella rilevazione resa nota ieri nel Rapporto Rifiuti Urbani 2021, si legge che la città di Napoli, a consuntivo del 2020, addirittura peggiora la propria performance rispetto all’anno precedente. Si passa dal 36,2% al 34,5%.
Una contrazione di 1,7 punti percentuali che dovrebbe far arrossire di vergogna i responsabili della gestione di raccolta e smaltimento dei rifiuti della nostra città. Responsabilità tutte in capo alla passata amministrazione, al precedente sindaco che a inizio del primo mandato annunciò di voler raggiungere il 70% di raccolta differenziata nei primi sei mesi di governo, fino all’attuale presidente di Asìa, nominata nel novembre del 2019, che promise di incrementare del 10% in pochi mesi lo scarso risultato fino a qual momento raggiunto. Mentre altre città raggiungono i risultati promessi, a Napoli si retrocede nonostante le centinaia di milioni che il Comune corrisponde ad Asìa -Azienda Speciale Igiene Ambientale– la società partecipata comunale che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti e spazzamento delle strade e piazze della città.
Ed è proprio la qualità dei servizi resi da questa società, come dalle altre partecipate del Comune di Napoli, che determina, per la gran parte, la pessima gestione e i disastrosi risultati amministrativi di questi ultimi decenni.
Nel 1998 nacque Asìa Spa, che attraverso un preciso contratto di servizio con il Comune dal valore di circa 180 milioni di euro, si impegnava a fornire ogni anno determinate prestazioni di raccolta e spazzamento a cui si aggiungono altri 50 milioni di euro per lo smaltimento che l’ente paga alla Sapna, la società delle Città Metropolitana. Un contratto di servizio che è uguale, con lo stesso valore giuridico di qualsiasi contratto, anche tra privati. Se ad esempio ristrutturiamo la nostra casa, con l’impresa a cui affidiamo i lavori firmeremo un contratto a fronte di un capitolato in cui saranno descritti esattamente tutti gli interventi previsti e il relativo costo specifico, i tempi di realizzazione, la garanzia dei lavori a regola d’arte, il costo totale e le forme di pagamento pattuite.
Guai per l’impresa se ad esempio non utilizza i materiali descritti, se i colori delle pareti con corrispondono a quelli scelti; le discussioni sarebbero infinite e i contenziosi, anche legali, non mancherebbero di certo. E se così spesso a Napoli i rifiuti non vengono raccolti formando cumuli dappertutto, se le campane della raccolta differenziata non vengono svuotate, se le strade non vengono spazzate e se il diserbamento non viene effettuato, è solo e soltanto perché il contratto non viene rispettato e non c’è nessuno che lo fa rispettare. Benché sia un contratto dettagliato che descrive precisamente quanto personale, con quali mezzi e con quale frequenza si effettua ogni singolo servizio, rimane un contratto disatteso, non rispettato, è questo il problema. E nessuno chi lo fa rispettare, è questo il dramma, perché controllato (Asìa) e controllore (Comune di Napoli) in sostanza sono la stessa cosa anche se giuridicamente diversi. A pagare per questo contratto non rispettato sono i cittadini contribuenti che per legge, attraverso la Tari, la tassa per i rifiuti, pagano per l’intero costo. Oltre il danno di avere la città sporca, la beffa di pagare tutto e profumatamente.
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