La giornalista era pronta a chiedere al Presidente delle proteste che si stanno svolgendo in Iran: del fermo di Mahsa Amini, poi morta durante la detenzione a 22 anni in circostanze ancora da chiarire. Di quanto il caso abbia scosso il Paese, l’opinione pubblica, i cittadini che sono scesi in piazza a manifestare in tutto l’Iran. E di come almeno 31 persone sarebbero morte negli scontri. Il Presidente della Repubblica Islamica Ebrahim Raisi ha pensato però di cancellare all’ultimo minuto l’intervista con la Cnn: perché l’anchorwoman Christiane Amanpour non ha voluto indossare il velo. Per l’hijab. La giornalista ha raccontato la vicenda su Twitter pubblicando una foto con la sedia vuota, pronta per Raisi.

Tutto questo mentre in Iran e in tutto il mondo le donne danno fuoco al velo, per solidarietà verso Mahsa Amini, per quello che le donne in Iran devono subire, controllate a vista, misurate al centimetro per le ciocche di capelli e le maniche degli abiti. Amanpour ha aspettato per quaranta minuti il presidente, arrivato a New York per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Alla fine si è presentato un collaboratore di Raisi che alla giornalista ha “suggerito che io indossassi il velo, chiarendo che non ci sarebbe stata intervista se non avessi il capo coperto, parlando di ‘una questione di rispetto’ e riferendosi ‘alla situazione in Iran’, alludendo alle proteste nel Paese”.

La nota anchorwoman è cresciuta a Teheran, lasciata con la famiglia dopo la rivoluzione del 1979 per trasferirsi con la famiglia per Londra. “Siamo a New York – ha detto all’uomo di Raisi – dove c’è nessuna legge o tradizione riguardo al velo, ho argomentato dicendo che nessun altro presidente iraniano ha fatto una richiesta del genere quando li ho intervistati fuori dall’Iran. Ho detto che non potevo accettare questa condizione senza precedenti e sorprendente”. Quella di Amanpour sarebbe stata la prima intervista di Raisi negli Stati Uniti, erano state necessarie settimane per organizzarla e otto ore per sistemare lo studio tra luci, telecamere e traduzione.

“Così siamo andati via, non c’è stata l’intervista, mentre le proteste continuano in Iran e la gente viene uccisa, sarebbe stato un momento importante per parlare con Raisi”. La settimana scorsa Raisi era stato intervistato in Iran dalla giornalista della Cbs da Leslie Stahl, che per rispetto aveva indossato il velo. Prima del colloqui aveva ricevuto indicazioni precise su “come vestirsi, come evitare di sedersi direttamente di fronte a lui ed evitare di interromperlo”. Nelle ultime ore, la tv di Stato di Teheran ha dichiarato che i morti sarebbero 17, inclusi un numero non precisato di agenti. La ong con sede a Oslo “Iran Human Rights” dichiara che i civili uccisi sarebbero almeno 31.

“Ieri sera volevo chiedere questo e molto altro al presidente Raisi. Sarebbe stata la sua prima intervista su suolo americano, durante la sua visita a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite – ha spiegato Amanpour -. Dopo settimane di pianificazione e otto ore di preparativi per traduzione, luci e telecamere eravamo pronti. Ma neanche l’ombra del presidente Raisi. Quaranta minuti dopo l’inizio previsto dell’intervista, è arrivato un assistente. Il presidente, ci ha detto, suggeriva che indossassi il velo, perché ci troviamo nei mesi sacri di Muharram e Safar. Ho gentilmente rifiutato. Siamo a New York, dove non c’è legge o tradizione che riguarda il velo. Ho fatto notare che nessun precedente presidente iraniano aveva rifatto questa richiesta quando li ho intervistati fuori dall’Iran. L’assistente ha chiarito che l’intervista non sarebbe avvenuta se non avessi indossato il velo. Ha detto che era ‘una questione di rispetto’ e ha fatto riferimento alla ‘situazione in Iran’ alludendo alle proteste nel Paese. Ancora una volta, ho ripetuto che non potevo accettare questa condizione senza precedenti e inaspettata. E così ce ne siamo andati. L’intervista non c’è stata. Mentre le proteste continuano in Iran e le persone vengono uccise, sarebbe stato un momento importante per parlare con il presidente Raisi”.

 

Le proteste in Iran

Le manifestazioni di piazza intanto continuano in Iran. Le autorità hanno censurato internet e “spento” Instagram e Whatsapp dopo la diffusione di numerosi video. È la maggiore restrizione dal 2019, da quando l’accesso a Internet venne limitato durante le proteste per il carburante. I Pasdaran, i guardiani della rivoluzione, hanno avvertito che chi diffonde “notizie false” sarà punito. È il sesto giorno di proteste, partite dal Kurdistan iraniano, regione d’origine di Masha Amini, e poi allargatesi in tutto il Paese.

I disordini si sono diffusi in oltre venti grandi città. Le donne sventolano il velo in aria o bruciano gli hijab al grido di: “No al velo, no al turbante, sì alla libertà e all’uguaglianza!”. L’ong Iran Human Rights (Ihr) riferisce che sarebbero trentuno le vittime della repressione, tra loro, scrive Bbc, c’è anche un ragazzo di 16 anni, ucciso quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui manifestanti, ma il numero reale delle vittime potrebbe essere più alto. Tra i morti anche quattro membri delle forze di sicurezza, anche se i funzionari iraniani hanno negato qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza nella morte dei manifestanti.

L’hijab (dal termine arabo coprire), deve essere indossato da tutte le donne iraniane a partire dai 9 anni di età: i capelli ed il corpo ad eccezione della faccia e delle mani, devono essere coperti. Le pene vanno dalle frustrate al carcere. Amnesty International ha raccolto prove sull’uso illegale della forza da parte delle forze di sicurezza iraniane, che hanno impiegato pallini da caccia e di metallo di metallo, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e manganelli per disperdere le proteste. Raisi nel suo discorso a New York non ha mai citato il caso e i disordini nel suo Paese. Ha però ha accusato l’Occidente di avere “doppi standard” sui diritti, in particolare quelli delle donne.

Il dottor Masoud Shirvani, intanto, neurochirurgo membro del consiglio della Società di Neurochirurgia dell’Iran, aveva dichiarato in televisione che a otto anni la 22enne era stata operata al cervello per la rimozione di un tumore. La versione delle autorità smentisce le accuse della famiglia, che ha denunciato violenze, ma ha parlato di un malore, forse un infarto. La polizia iraniana ha inoltre pubblicato alcuni filmati delle telecamere a circuito chiuso della caserma in cui si vede Mahsa Amini collassare nella stazione di polizia.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.