Esteri
Iran diviso e indebolito si appiglia al nucleare. E Trump vuole capitalizzarne le fragilità

Il 12 aprile, dopo oltre 7 anni di silenzio diplomatico, rappresentanti degli Stati Uniti e dell’Iran si sono incontrati in Oman per un primo scambio sul futuro del programma nucleare iraniano. Un secondo round è previsto per il 19 aprile, con Roma tra le possibili sedi. Si tratta di un segnale tutt’altro che scontato in un contesto di tensioni regionali e crisi incrociate. Al centro dei colloqui vi è il tentativo di ricostruire un’intesa che richiama lo storico Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo sul nucleare iraniano siglato nel 2015 tra l’Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu più Germania e Ue. L’accordo prevedeva che Teheran riducesse drasticamente il proprio programma nucleare, aprendo i suoi impianti ai controlli internazionali, in cambio dell’allentamento delle sanzioni economiche.
Il JCPOA fu salutato da molti come uno strumento efficace per tenere sotto controllo le ambizioni nucleari iraniane e per allontanare lo spettro di un conflitto armato tra la Repubblica islamica e i suoi rivali regionali, Israele e Arabia Saudita in primis. Ma già nei primi anni il patto fu oggetto di tensioni e reciproche accuse di inadempienze. Nel 2018 l’amministrazione Trump decise unilateralmente di ritirarsi dall’accordo, ritenuto troppo debole su due fronti: il programma missilistico iraniano e il sostegno di Teheran a gruppi armati nella regione. Seguì una nuova ondata di sanzioni che spinse l’Iran ad arricchire l’uranio oltre i limiti consentiti, a sviluppare centrifughe avanzate e a restringere l’accesso agli ispettori dell’AIEA. Dal 2021, poi, i negoziati per un ritorno al JCPOA sono stati intermittenti e complicati da una serie di eventi: l’elezione del conservatore Raisi alla presidenza iraniana, l’invasione russa dell’Ucraina, la crisi israelo-palestinese e l’uccisione di figure chiave della leadership iraniana e dei suoi proxy da parte di Israele.
Oggi l’Iran appare indebolito rispetto al 2015: la sua economia è in crisi, la valuta ha perso valore, il malcontento popolare è diffuso. A livello internazionale, Teheran ha subìto contraccolpi pesanti con l’indebolimento dei suoi alleati nella regione, da Hezbollah ad Assad. L’attacco aereo condotto da Israele nell’ottobre 2024 contro obiettivi strategici iraniani ha esposto le vulnerabilità del Paese, incluse quelle legate ai siti nucleari. Gli Stati Uniti sembrano voler capitalizzare questo momento di fragilità, massimizzando la pressione a suon di sanzioni e minacciando l’uso della forza. Da parte sua, l’Iran potrebbe vedere nei colloqui un’opportunità per ottenere un alleggerimento delle sanzioni e guadagnare respiro politico ed economico. Resta da capire se questi contatti preludano a una reale soluzione diplomatica, fondata sulla costruzione di fiducia reciproca, o se si tratti piuttosto di un temporaneo scambio di convenienze. In un Medio Oriente sempre più instabile, la linea tra diplomazia e calcolo tattico è spesso sottile. E non sempre visibile.
© Riproduzione riservata