La sentenza
Irene Pivetti condannata a quattro anni, dalle tre Ferrari al lavoro in un centro sociale: “Dopo il sequestro è rimasta a piedi”
Al centro degli affari di Irene Pivetti c’erano tre Ferrari Gran Turismo, che sarebbero servite per ripulire gli incassi di un’evasione fiscale, ma anche un autotreno, pezzi di ricambi storici e un sito internet inesistente, utili per simulare – nel 2016 – una serie di compravendite per 1,2 milioni di euro dall’ex pilota Leonardo Isolani e della moglie Manuela Mascoli, tutti beni di una sua società indebitata con l’erario per diversi milioni di euro rivenduti al fine di svuotarla a un’altra sua società con base a San Marino, la quale avrebbe venduto di nuovo tutto, comprese le tre Ferrari, a una società di Hong Kong riferibile a Pivetti, e poi ancora agli asset al Gruppo Daohe, alla società cinese More & More Investment, del magnate cinese Zhou Xi Jian, per ben 10 milioni.
Gli scopi
È per questo che il collegio presieduto da Angela Scalise dell’esistenza ha condannato per evasione fiscale e autoriciclaggio la politica, conduttrice televisiva e giornalista italiana a quattro anni, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per 12 mesi e la confisca di oltre 3,4 milioni di euro (che scatterà con la condanna definitiva), decidendo inoltre per una multa di 6mila euro. Condannati a due anni il pilota di rally Leonardo Isolani e la moglie Manuela Mascoli, assolta invece la figlia di lei Giorgia Giovannelli. Con 3 milioni di euro di debiti lo scopo della coppia era «dissimulare la proprietà dei beni e sottrarli» al Fisco, mentre quello di Pivetti – che avrebbe utilizzato la società di Hong Kong senza dipendenti con 10 centesimi di capitale senza sede o dipendenti o conti – di “acquistare il logo Isolani-Ferrari per cederlo a un prezzo dieci volte superiore al gruppo Dahoe”, senza comparire mai in prima persona.
La difesa di Pivetti: “Sono serena”. E il precedente delle mascherine
Subito dopo la sentenza l’ex presidente della Camera si è dichiarata serena: “Questo è solo il primo tempo. Sono assolutamente innocente, ma non mi aspettavo nulla di diverso. Ricorreremo in appello e sono serena perché sono perfettamente innocente. Le tasse lo ho sempre pagate. Ma qui l’oggetto del contendere è far passare la Pivetti come un evasore fiscale che non è. Mi sento perseguitata dalla giustizia ma non starò qui a fare la vittima”. Non si tratta dell’unco procedimento che coinvolge Pivetti in veste di imprenditrice. Lo scorso giugno, a Busto Arsizio, il pubblico ministero Ciro Caramore ha richiesto e ottenuto dalla giudice Anna Giorgetti il suo rinvio a giudizio per frode nelle forniture pubbliche, riguardante la vendita di mascherine dalla Cina per un valore di 35 milioni durante la pandemia da Covid.
Pivetti, l’altra vita iniziata due anni fa
Da tempo Irene Pivetti aveva iniziato un’altra vita. Come raccontato da lei stessa in un’intervista a Gente, era passata a gestire il servizio pasti del ristorante “Smack” di un Centro Sociale d i Monza e ad ebitare in un dormitorio adiacente al luogo in cui lavora. Un pensionato con camere per persone in difficoltà economiche o studenti fuori sede. “Da metà ottobre coordino il ristorante Smack, una mensa sociale del centro sociale di Via Tazzoli a Monza. E abito nel dormitorio adiacente: è più comodo perché non ho l’auto. E poi non potrei permettermela“”, ammetteva dopo le confische.“Mi mantengo con i mille euro mensili che mi dà la cooperativa sociale per il lavoro che svolgo alla mensa. Ma non mi lamento. Non è questo il problema. C’è gente che non ha neppure quelli. La vita che sto facendo è molto gratificante”, raccontava.
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