La crisi demografica che investe l’Italia è stata analizzata da par suo – su Il Riformista di ieri – dal professor Livi Bacci che ci ha ricordato come le società si rinnovino biologicamente (attraverso la natalità) e socialmente (con l’immigrazione) e quanto sia importante, soprattutto di fronte alle guerre, alle carestie, alle emergenze climatiche che affliggono il mondo, distinguere tra “profughi” e “migranti” per quel margine di “volontarietà” che (forse) resta a questi ultimi.

Colgo i numerosi spunti offerti dall’intervista all’insigne demografo per sottolineare quanto tutti questi argomenti convergano nel conferire all’esame della legge sul cosiddetto Ius scholae quel carattere di “urgenza” contestato, soprattutto a destra, da chi inspiegabilmente sostiene che il Parlamento non possa occuparsi “anche” di una questione che investe la sfera dei diritti civili (scusate se è poco) di milioni di italiani (quantunque “in panchina”) oltre che il futuro del Paese.

Un muro di emendamenti è stato innalzato per impedire a poco più di un milione di ragazzine e ragazzini che frequentano le nostre scuole di avere la carta d’identità italiana mentre nessun provvedimento è stato assunto per cercare di fermare l’emorragia di giovani – sessantotto mila nel solo 2019, secondo l’Istat, quasi cinquecentomila negli ultimi dieci anni – che hanno lasciato il Paese trasferendosi all’estero, in gran parte in modo definitivo.

Il “muro” degli emendamenti è stato costruito con “mattoni” che sfidano il senso del ridicolo considerato che, a dargli retta, per ottenere la cittadinanza bisognerebbe dimostrare di conoscere le “sagre” dei nostri borghi o rispondere a test sui “prodotti tipici e gastronomici italiani”….

Basterebbe entrare nelle cucine di un ristorante milanese o romano per accorgersi che la maggior parte dei cuochi che cucinano un ottimo ossobuco o cremose carbonare non provengono esattamente dall’hinterland lombardo o laziale, così come sarebbe sufficiente accendere la radio per scoprire che i rapper più affermati in questo momento o celebrati in un tempio della canzone italiana come il Festival di Sanremo (Ghali, Rkomi, Ernia, Madame, ecc.), sono spesso figli di immigrati.

Dove vivono, dunque, gli estensori di questi emendamenti?
Lo Ius scholae riguarda ragazze e ragazzi che hanno studiato e praticato la cultura italiana alla pari dei nostri figli e nipoti, che parlano i nostri dialetti prima ancora dell’italiano, che giocano nei nostri cortili e nelle nostre piazze ma non hanno nessuna certezza sul loro futuro perché, per “diventare” italiani devono attendere, senza interruzioni di residenza, il diciottesimo anno solo per iniziare, per iniziare!, un accidentato percorso burocratico che potrebbe durare anche quattro anni. Nel frattempo, tra gli altri handicap, non possono partecipare a concorsi pubblici e vivono in un limbo che li costringe a penose spiegazioni sul loro stato civile ogni volta che si interfacciano con una amministrazione pubblica e non solo.
Probabilmente questa legge, una parte della quale ho contribuito a scrivere, non risolve tutti i problemi che andrebbero affrontati per migliorare e superare le numerose incongruenze di una normativa (la Legge 91/1992) che ormai ha trent’anni, ma rappresenta un compromesso accettabile, spero anche dal Partito Democratico, per fare quel passo avanti in tema di diritti che questi giovani italiani attendono e soprattutto meritano.

Vorrei che tutto il centrodestra, così come ha fatto Forza Italia, soprattutto per merito del Presidente Tajani e del nostro Capogruppo, Barelli, entrasse nel merito della legge piuttosto che soffermarsi su problemi di tempi e metodi o, peggio, su questioni “identitarie”.

Alle prime contestazioni si può rispondere facilmente ricordando che ci troviamo difronte ad una legge di iniziativa parlamentare, uno dei pochi provvedimenti, cioè, che non viene paracadutato su Montecitorio da Palazzo Chigi con lo stigma delle “fiducia”; alle seconde vorrei rispondere ricordando un paio di editoriali apparsi su Il Giornale a firma di Marco Gervasoni, giornalista insospettabile, a differenza della sottoscritta, di cedimenti a sinistra, che ricorda come “se a qualcuno neghi la cittadinanza, cioè il riconoscimento di appartenenza alla Comunità, difficilmente si integrerà” e ammonisce i “conservatori” italiani dal commettere, battendosi contro lo Ius scholae, un “serio errore di prospettiva”. Sostiene, infatti, Gervasoni, rivolgendosi a chi nel centrodestra contesta la legge in discussione che “l’idea italiana di nazionalità, da Petrarca ad Alfieri al Risorgimento, è culturale e non etnica: si è italiani perché si decide di essere italiani, non per il colore della pelle”. Parole che sottoscrivo e che rafforzano in me la convinzione di essere nel giusto votando questa legge.