Maldestro è sempre stato. Non riesce a chiunque di andare in luna di miele segreta in Botswana, cadere in piena notte dal lettone della capannetta di lusso e finire su tutti i giornali del mondo con l’anca rotta e la faccia da vecchio europeo gnoccolone in Africa. Col fucile da guerra imbracciato accanto a una signora bionda dalla pelle candida, posa ancién regime in piena caccia all’elefante. Molto Alberto Sordi.
Da tener riservata, quella volta, buio 2012 – crisi economica a Madrid, spagnoli imbufaliti attaccati ai rotocalchi da salone del parrucchiere a scolarsi i dettagli della figuraccia reale – non era tanto l’amica tedesca, stranota, alla quale la Regina Sofia ha delegato volentieri per anni il lavorone di accompagnare il marito in ogni dove, eventi compresi. Quanto la compagnia di certi amici sauditi. Da lì, poi, i guai di queste ore. Valigie varie con milioni di petrodollari inguattati dall’ex sovrano in Svizzera.

Il fatto è che Juan Carlos I dei Borboni – l’elemento più scandaloso della scalcagnata corona spagnola – non voleva fare il re. Avrebbe di gran lunga preferito nascere Julio Iglesias. Avere gli applausi, l’appeal e il codazzo di fans d’una pop star anni Ottanta. E invece, ostaggio per lungo tempo dei tira e molla tra suo padre e Francisco Franco, alla fine gli è toccato il trono. A dedazo, dicono gli spagnoli, cioè su indicazione esplicita del dittatore, nemmeno per successione diretta. Ed è stata la fortuna degli spagnoli perché lui, fanfarone e gaffeur, ha garantito nel 1978 alla cattolicisisima Spagna, piena zeppa di fascistoni ora, figuriamoci allora, la transizione alla democrazia, con i comunisti tirati dentro.

L’ha fatto da erede al trono designato. Mica da anarchico izquierdista. E s’è inventato giorno per giorno, all’impronta, un passaggio incruento di regime, smontando il franchismo attraverso le leggi franchiste, quelle stesse leggi che garantivano la legittimità del suo potere, senza regalare mezza chance ai militari scalpitanti, quando la struttura e gli uomini della dittatura – il Bunker si chiama, il deep state nero – erano pronti a prendersi il governo. Tanto convinti di farcela che nel 1981 hanno tentato il golpe. Era il 23 febbraio, se sembrò un colpo di Stato da operetta è perché non riuscì. Juan Carlos annusò l’aria, con la rivoluzione dei garofani in Portogallo ormai andata e i colonnelli greci finiti, seppe convincere i golpisti a lasciar perdere. Ma la democrazia non era inevitabile in Spagna allora, era solo una delle possibilità.

Poi, là come qua d’altra parte, i fascisti son diventati in un battibaleno tutti riformisti, nello specifico là si sono riciclati alla svelta nelle braccia spalancate del partito popolare di cui hanno costituito e costituiscono ancora la non trascurabile nerissima maggioranza. Quindi buoni un attimo prima di liquidare come avanzo della storia l’ottandaduenne Juan Carlos. Il vecchio che con sguardo acquoso sorride comprensivo ai figli che lo detestano. Se a Madrid dopo la morte di Franco non ci sono stati spari casa per casa parecchio del merito è suo. Del patetico e un po’ buzzurro re di Spagna. Vuoi mettere lui, un pasticcione capace di uscite fulminanti (memorabile quel “perché non ti stai zitto?” urlato a Hugo Chavez in piena logorrea durante un incontro di capi di stato spocchiosi ma muti) vuoi mettere lui con quel lungaccione mesto mesto di suo figlio Felipe, Felipe VI? Quello che come somma rivolta non è riuscito a far altro che sposare una giornalista borghese, la reportera Leticia, la quale dopo sei anni da regina ancora cammina sempre tre passi davanti al marito calpestando il protocollo?

Quel Felipe che, dopo aver accettato sempre a muso lungo la corona grazie all’abdicazione paterna nel 2014, ha tolto al padre scavezzacollo anche i 194.232 euro l’anno che gli spetterebbero come ex sovrano cercando così di ingraziarsi i repubblicani spagnoli che lo odiano lo stesso?
Grosse miserie umane alla corte di Spagna. Pedro Sanchez, il premier socialista, lo sa, e ieri era tutto un inchinarsi del capo del governo più di sinistra (sulla carta) della Spagna democratica al ruolo fondamentale avuto dalla monarchia nei passaggi delicati della storia recente.
Mentre il re Felipe VI, con quell’aria da ragioniere affranto anche quand’è coperto di mostrine come un cavallo da parata, ringraziava via etere il padre per essersene finalmente andato definitivamente all’estero. Juan Carlos era già lontano. In un resort nella repubblica dominicana pare. Scappato nottetempo per fare l’ennesimo regalo al figlio ingrato. Per non complicare la vita al re senza talento con l’eco del suo ultimo scandalo.

Niente di nuovo nello scandalo. La faccenda saudita si conosce da mesi. Sono solo stati rivelati quattro pompatissimi dettagli su una sostanziosa fortuna arrivata a rate in valigia a Juan Carlos dal Medio Oriente, una fortuna mai dichiarata. L’ex re è accusato da tempo di aver convinto l’impresa spagnola che ha realizzato il treno veloce per la Mecca a fare un sostanzioso sconto ai committenti sauditi. Che l’hanno ricompensato per il favore. Ha facilitato un affare, lo fanno gli ex governanti di mezzo mondo. Solo che lui i soldi s’è, diciamo, scordato di dichiararli . L’ha fatti sparire prima in Svizzera, in un fondo che alla sua morte doveva andare al figlio. Poi in parte l’ha affidati alla signora tedesca. Felipe VI, inorridito quando il dettaglio sul suo ruolo passivo è stato svelato, ha rinunciato all’eredità. Sapendo benissimo che la mossa non ha alcun effetto se non d’immagine perché il codice civile non consente di rinunciare a un’eredità quando ancora non è morto nessuno. Tristissimo il comunicato della Casa Reale: “Rifiuto fin d’ora di ricevere in eredità qualsiasi cifra, investimento o struttura finanziaria le cui origini, caratteristiche e finalità possano non essere consone alla legalità e ai criteri di rettitudine e integrità che reggono e devono caratterizzare l’attività isttuzionale e privata della Corona”.

A dare il via ai fuochi d’artificio attorno al vecchio re emerito fuorilegge sono state, ormai quattro anni fa, le voci sulla confessione a puntate data da Corinna Larsen, l’apparentemente esausta ex amante tedesca dell’ex sovrano, al commissario Josè Manuel Villarejo, poi arrestato per spionaggio. “Ogni volta che viaggia in Medio Oriente torna con moltissimo denaro”, fu la prima frase della Larsen finita sui giornali. I realtà a viaggiare era il suo avvocato. La seconda: “E al Palacio de la Zarzuela c’è una macchina conta soldi”. Come a casa di un truffatore di serie B, gridarono tutti, e quello è il Palazzo reale. Ritardando appena un po’ l’uscita di scena, Juan Carlos alla fine s’è levato di torno. Sempre inseguito dal coro che dal 20 novembre 1975, morte di Franco, lo descrive come “intellettualmente non all’altezza del ruolo”. Santiago Carrillo, segretario del partito comunista spagnolo dal 1960 al 1982, uno di quelli che lo pensava non in grado e poi ammise d’aver cambiato idea, tempo fa raccontò che Juan Carlos, già re, gli confidò: “Per vent’anni ho dovuto far finta d’essere scemo, guarda amico mio che non è mica facile”.