Un discorso della Regina Elisabetta al popolo è un evento. E viene da chiedersi cosa carichi questa apparizione televisiva della Queen di un significato così particolare che forse soltanto a lei e a pochissimi altri è concesso. E la risposta sta nella lunghissima continuità del Regno e nel modo in cui Elisabetta continua a svolgere la sua funzione. La Regina è diventata l’identità-mito di se stessa e come tale si offre e viene percepita, sta qui, davanti a noi, e al tempo stesso in un altrove, rassicurante e fuori dal tempo. C’è, come un nume tutelare e, quando serve, si manifesta.
Non capita spesso che Elisabetta parli e questa rarità non fa che dare forza e autorevolezza a queste occasioni e a lei che ne è la protagonista. La Regina esce dalla Chiacchiera, dice quanto deve e quanto basta, un messaggio secco, rassicurante e chiaro che s’impone per la sintesi lapidaria che lo caratterizza.

Era accaduto solo quattro volte, l’ultima volta nel 2012 per il Giubileo di Diamante dei sessant’anni del Regno. Prima, Elisabetta aveva deciso di parlare solo e sempre in occasioni straordinarie, la Guerra del Golfo nel 1991, la morte della Regina Madre e quella di Lady Diana. E se si torna alla prima apparizione ufficiale, bisogna risalire al 21 aprile del 1947, quando in occasione del ventunesimo compleanno e cinque anni prima di diventare Regina, dichiara con una promessa che è un impegno, che la sua vita «breve o lunga, sarà dedicata al vostro servizio». Adesso, è il Covid-19 che l’ha decisa a uno speech inevitabilmente storico.

È apparsa nello schermo della televisione, vestita di verde, la collana e gli orecchini di perle, una spilla, i capelli inappuntabili…e subito è cominciata l’analisi pedante dei dettagli, alla ricerca di corrispondenze tra il modo in cui ha deciso di presentarsi e l’occasione. Difficile trovare sfasature, Elisabetta è arbiter di se stessa, non segue le mode, le oltrepassa perché non risiede del flusso della quotidianità e nel rutilante ed effimero vortice dei consumi e delle apparenze. Anche su questo versante, in ogni caso, conferma di risiedere su un altro piano. Elisabetta, infatti, appartiene stabilmente all’ordine simbolico dove le figure valgono e s’impongono perché tengono insieme due livelli che ai più sono preclusi, una qualità personale che si cementa negli anni, fatta di affidabilità, autorevolezza, prestigio e dedizione al compito, e l’istituzione che si rappresenta, di cui si è transitori depositari e che viene consegnata per presidiarla e riconsegnarla poi a chi verrà.

È la Regina e al tempo stesso la Regina Elisabetta, in un binomio che tende alla coincidenza, dovuta certo alla lunghezza di un Regno, ma anche e soprattutto all’immagine con cui questo connubio inscindibile si è offerto ed è stato percepito. E non deve colpire il fatto che il breve discorso non contenga dichiarazioni a effetto o costruite per diventare il titolo di un giornale, no, la Regina parla nella distanza/prossimità in cui si trova, distante perché non può che essere altrove, prossima perché è proprio quella distanza che le consente di essere rassicurante e protettiva, mentre guarda senza una piega dalla tv.

Appare, e già questo è un segno di sovrana sollecitudine, si rivolge a chi la ascolta e dice ciò che ci si aspetta da lei. Ricorda il «momento sempre più impegnativo e… di rottura nella vita del Paese», i lutti, le difficoltà finanziarie, «gli enormi cambiamenti nella quotidianità di tutti». Ringrazia gli operatori della sanità, il duro lavoro di chi, fuori, assolve al dovere di ogni giorno, e chi aiuta in casa persone più vulnerabili. Sottolinea che «insieme stiamo affrontando questa malattia» e che l’unità e la risolutezza sono le condizioni per superarla. Poi guarda avanti, nella posizione di chi il tempo lo misura sulla lunga durata, e si augura che i posteri potranno dire che «i britannici di questa generazione sono stati forti, come ogni altra volta».

E infine chiude sul pilastro delle doti british: l’autodisciplina, la tranquilla risolutezza «condite dal buon umore». Una sintesi antropologica enunciata con fierezza secolare. Insomma, Elisabetta ricorda, ringrazia, rassicura, spera. Come un augusto genitore – con in più la Corona – che si prende cura dei figli che in questo caso sono il popolo britannico. Nessun accenno ai reami del Commonwealth che pure sono sotto la sua sovranità.

I British la sentiranno sicuramente come un’apparizione salutare, non dico salvifica o taumaturgica, come accadeva con i Re francesi a cui per secoli si attribuiva il potere di guarire dalla scrofolosi. Nello stesso momento in cui Elisabetta parlava alla Country, il primo ministro Boris Johnson veniva ricoverato per accertamenti legati all’infezione contratta una decina di giorni fa. Non è il caso di ironizzare, e però come non notare la tempra inossidabile della Regina a fronte del suo premier decisionista e un poco scapestrato!?

E viene da pensare a quando, fra decenni e decenni, la Queen più longeva, capace di battere anche il record di durata della Regina Vittoria, non potrà più apparire, e verranno a sostituirla eredi in cui si fatica a riconoscere la stessa monolitica complessione. Ma, forse, ne abbiamo il sospetto, la Regina potrebbe anche non essere sottoposta alle contingenze della nostra vita… A noi, che di lei sudditi non siamo, la sua vista ha ricordato il cielo che un tempo si pensava delle stelle fisse, quelle che risplendono comunque e in ogni caso. Qualunque cosa accada quaggiù.