Un’industria bellica è un’industria che funziona. Perché la seconda genera la domanda alla prima. Lo conferma l’economia russa che ha chiuso il 2024 con una crescita del Pil del 3%. Attenzione, però. Il dato assoluto non è sufficiente per far festeggiare gli amici di Putin. Anzi.

La spesa

Le stime di crescita per quest’anno si riducono al 2%, per calare poi all’1% nel 2026. Già questo è segno che il Paese ha sempre meno fiato. A questo va aggiunto che le spese militari, dall’inizio del conflitto, sono sempre più centrali. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), nel 2024, sono state del 4-4,5% del Pil. Con un aumento tendenziale del 24%. Per assurdo si potrebbe far notare che neanche Putin arriva al 5% come richiesto da Trump. Dal 2022, il Cremlino ha speso 211 miliardi di dollari. Per cosa? Munizionamento, ovviamente, macchinari e mezzi pesanti. Questi di produzione propria. Poi, per la componentistica e i device più sofisticati – microchip e droni, per esempio – è ricorsa alle importazioni. Cina, Corea del Nord e Iran, soprattutto. Anche su questo bisogna riflettere. Perché vuol dire che A) la Russia non dispone di una sovranità militare; B) Mosca ha messo mano alle sue riserve di dollari; C) l’export militare, voce in attivo prima della guerra, si è bloccato.

L’economia civile

A fianco alle armi, c’è poi l’economia civile. Questa non ha paraventi. È palese che, dall’inizio del conflitto, non se la stia passando bene. Anzi, l’inflazione e il deprezzamento del rublo risalgono già al 2014. Anno dell’auto-annessione della Crimea. A rafforzare l’analisi, il Centro Einaudi ha confrontato il reddito nazionale netto per abitante di quattro Paesi. Due in pace, Cina e Polonia. Due in guerra, Russia e Ucraina. La scelta dei primi due è legata alle analogie rispettivamente con Russia e Ucraina. Ebbene, tra i quattro è proprio il reddito russo a essere in flessione. L’Ucraina, infatti, ha beneficiato di aiuti militari e assistenza finanziaria dell’Occidente, che le hanno permesso di stabilizzare la bilancia dei pagamenti e sostenere la spesa pubblica. A contrario, per limitare i danni dell’inflazione, la Banca centrale di Mosca ha dovuto portare i tassi di interesse al 21%, determinando però il calo del 75% delle vendite di abitazioni e la conseguente crisi del settore delle costruzioni.

Ipotesi pace

Cosa succederebbe quindi se si arrivasse alla pace? Come reagirebbe un’industria dopata dalla produzione di fucili e cannoni improvvisamente inutili? Mosca dovrebbe ricorrere a un piano di riconversione industriale fatto di rilancio di filiere abbandonate, know-how da recuperare – probabilmente all’estero – implementazione delle esportazioni delle materie prime già saturo. E con che copertura finanziaria? Nella versione russa del documento post summit a Riad, l’abrogazione delle sanzioni rappresenta una garanzia irrinunciabile per raggiungere la tregua. Perché? Perché l’attuale esclusione dal sistema bancario Swift rappresenta il completo isolamento finanziario di Mosca. Riaprire questo cancello è l’unica strada per salvare l’economia russa. E anche il regime di Putin. Certo, al netto di eventuali spese di guerra che il Cremlino dovrebbe pagare. Ma su queste nessuno ha mai alzato il dito. Nemmeno i volenterosi.